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CHERKIZON: MOLTO PIU’ CHE UN MERCATO

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(WSI) – Chiuso, sigillato, vuoto. Per sempre, con tutta la merce ancora lì, abbandonata sui banchi. E la saracinesca abbassata per ordine supremo, ovvero di Vladimir Putin. Gli agenti della polizia sono entrati in azione a Mosca, alla fine di giugno, per bloccare una volta per tutte l’attività del Cherkizovskij, il più grande mercato di tutto l’est europeo.

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Un groviglio di negozietti, merci di ogni genere, spesso contraffatte e di contrabbando. Più di duecento ettari nel nord-est di Mosca divisi in dodici zone commerciali che dal 1991, dal crollo dell’Unione sovietica, accompagnava la vita e le fatiche quotidiane di centinaia di migliaia di commercianti e clienti, in febbrile movimento tra vestiti, mobili, gioielli, artigianato vario, carne, pesce.

Il Cherkizon – questo per tutti in Russia il nome del megabazar dava lavoro ad almeno 100mila persone: vietnamiti, tagiki, uzbeki, kirghizi e cinesi. Trentamila cinesi, secondo le stime, che hanno visto la polizia chiudere il loro negozio e sequestrare tutta la loro merce.

Per loro e ancora di più per proteggere l’export cinese che trovava sbocco nell’immenso mercato, è giunto a Mosca – preoccupato e arrabbiato- il viceministro al Commercio di Pechino, Gao Hucheng: una missione delicata, nello scorso weekend, per chiedere alla Russia di «cessare le azioni ostili e discriminatorie nei confronti dei cittadini cinesi, difendere i loro interessi legittimi, garantire la sicurezza personale e materiale dei commercianti cinesi». E per evitare ripercussioni negative sulla prevista visita a Pechino del primo ministro, Vladimir Putin.

Gli agenti hanno messo i sigilli su seimila container, 100mila tonnellate di merce sequestrata il cui valore si aggira, secondo una prima ricognizione, intorno ai due miliardi di dollari (rinvenute anche notevoli somme di denaro in contanti e stupefacenti). Per le autorità russe il Cherkizon non era altro che un covo di immigrazione clandestina, criminalità e narcotraffico. Per i cittadini di Mosca (e non solo) il mercato ha rappresentato spesso la salvezza ai tempi della crisi: con pochi rubli si portavano a casa abiti e scarpe, occhiali, attrezzature sportive, ortaggi, frutta e companatico. Di qualità discreta, comunque accettabile per milioni di famiglie.

Secondo le stime del settimanale economico KommersantVlast i 15mila negozietti e banchi del Cherkizovskij riuscivano a servire fino a 120mila clienti al giorno e controllavano fino al 40% dell’intero commercio di abbigliamento della Russia. Merce di contrabbando, nel 90% dei casi.

Ma non è una novità che le importazioni clandestine in arrivo a Mosca dalla Cina, dalla Turchia e da alcune repubbliche ex sovietiche, alimentino un’economia sommersa, che secondo gli esperti della Banca mondiale ha raggiunto il 40% del Pil russo.

Dopo vari tentativi, l’ultimo nel settembre del 2008, la polizia, appoggiata dalle forze speciali anti-terrorismo, ha chiuso il mercato per sempre. Del resto Putin era stato chiaro, denunciando la corruzione nelle dogane e dettando la linea dura. Il sindaco di Mosca, Jurij Luzhkov, si è affrettato a dichiarare che «il Cherkizon non sarà riaperto mai più».

Mentre il viceprocuratore generale della Russia, Aleksandr Buksman, ha spiegato che «non si tratta di un centro commerciale, ma di una piaga di corruzione, di criminalità. Un’inferno da cancellare senza tentennamenti politici », aggiungendo che l’attacco contro Cherkizovskij sarebbe stato l’inizio della lotta senza quartiere contro il mercato nero e contro l’economia sommersa. Che a Mosca proliferano in altri 81 centri commerciali simili al Cherkizon anche se di dimensioni più ridotte.

Restava tuttavia da risolvere la crisi commerciale tra Russia e Cina. Dopo il vertice del fine settimana, Mosca ha garantito che non consentirà alcun abuso ma che garantirà ai commercianti cinesi tutta l’assistenza legale necessaria. Restituendo loro ogni bene sequestrato nel caso non vengano riscontrate irregolarità. Pechino teme che la soppressione del maximercato porti al fallimento di decine di fabbriche, specie nelle province meridionali del paese. Per questo, per salvaguardare le sue esportazioni verso la Russia – più di 43 miliardi di dollari nel 2008 ai quali si aggiungono almeno otto miliardi di merci in nero – si è impegnata ufficialmente a rafforzare i controlli alle dogane.

Negli ultimi anni il controllo del Cherkizon è stato conteso dalle triadi cinesi e alla mafia caucasica. I titolari nominali del mercato, Telman Ismailov e Zarakh Iliev – due multimilionari di origini azere con patrimoni personali di 600 milioni e a 500 milioni di dollari, nella top 100 di Forbes – sono fuggiti all’estero prima del raid delle forze dell’ordine.

Ismailov ha chiesto la cittadinanza alla Turchia e ha investito nella costruzione dell’albergo più caro del Paese, il Mardan Palace, cinque stelle ad Antalya sulla costa esclusiva del Mediterraneo. Un’operazione giudicata «antipatriottica» da Putin che potrebbe aver deciso di chiudere il Cherkizon proprio per colpire Ismailov.

L’opinione pubblica russa sembra credere poco alla lotta contro la corruzione e contro il mercato sommerso sbandierate dal governo. Per i moscoviti nelle vicinanze del mitico Cherkizon la chiusura del mercato più grande dell’est Europa non è altro che l’ultimo episodio della guerra in corso tra i clan criminali per il controllo del commercio a Mosca e in tutta la Russia.

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