Oltre al forte indebitamento dello Stato italiano, prossimo ai 1850 mld di debito, il 2010 ha segnato i massimi storici anche per l’indebitamento degli enti locali. Ricordiamo a chi legge che il debito pubblico è pari al valore nominale di tutte le passività lorde consolidate delle amministrazioni pubbliche (amministrazioni centrali, enti locali e istituti previdenziali pubblici).
Il debito è costituito da banconote, monete e depositi, titoli diversi dalle azioni, esclusi gli strumenti finanziari derivati, e prestiti. Ebbene, stando ai numeri e alle statistiche diffuse dalla maggiore società al mondo in tema di statistiche sui derivati, la Depository Trust and Clearing Corporation (DTCC), il rischio di bancarotta dell’Italia vale oltre 26 miliardi di Dollari, vale a dire poco più di 20 miliardi di Euro.
Il crack di nessun altro paese renderebbe di più alla speculazione. Adesso, che l’ammontare dei Credit Default Swap (polizze vendute dalle Banche a chi si vuole coprire da rischi di fallimento) sia direttamente correlato all’ammontare del debito pubblico è un fatto noto, cioè un paese altamente indebitato presenta maggiori punti di criticità negli equilibri dei conti pubblici e quindi potenzialmente a rischio; quello che sorprende è la netta accelerazione dei volumi trattati negli ultimi mesi.
Sintetizzando, più obbligazioni ci sono sul mercato, più è comprensibile che gli investitori, prevalentemente professionali se non addirittura governativi, si vogliano coprire acquistando CDS. Il fatto che il rischio paese italiano sia così elevato non è perché il mercato percepisce concrete possibilità di default, ma l’entità del debito non è l’unica ragione, se consideriamo che il debito pubblico giapponese vale, grosso modo, quello italiano, ma l’ammontare dei CDS è di poco superiore ai 5 miliardi di dollari.
Come dicevamo stupisce il ritmo di crescita; il mese scorso il livello dei CDS era a 23 miliardi di dollari, mentre lo scorso anno si attestava a 21 miliardi, quindi nettamente inferiore rispetto a quello attuale.
La classifica europea in tema di CDS vede la Germania al secondo posto con 15 miliardi e tanto vale l’ammontare per la Spagna. L’Italia è anche in cima alle classifiche per numero di contratti attivi. Sono 6740 le polizze anti “crack” attivate sull’Italia; solo la Turchia ci sopravanza con 7622 contratti.
Ecco, questi sono i crudi numeri che ribadiscono come la finanza italiana presenti nell’immaginario collettivo dell’investimento forti elementi di criticità e quindi chi investe in obbligazioni italiane pretende maggiori tutele.
Speriamo che questa percezione resti tale e la copertura del rischio venga fatta esclusivamente per diligenza, ma se dovessimo assistere ad un repentino aumento dei prezzi di questi famigerati CDS, vorrebbe dire che la percezione sta gradualmente allineandosi alla realtà, con tutte le conseguenze del caso.