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CHE ERRORE ESSERE ANDATI NEL PANTANO

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La guerra sembra appena cominciata e la resistenza irachena può contare su una grande quantità di armi, uomini e territori amici dove trovare rifugio. Al Pentagono non sono più tanto sicuri di vincere la seconda guerra irachena, quella della occupazione. E si capisce: la resistenza che stanno incontrando è senza paragoni più forte di quelle che ai nazisti toccò nei paesi europei. A cominciare dalle armi.

Il signore della guerra americana Donald H. Rumsfeld calcola che l’arsenale di Saddam Hussein fosse di 600 mila tonnellate di armi. Non si sa quante ne siano state raccolte dagli americani durante la guerra lampo, ma almeno la metà sono rimaste a disposizione dei ribelli. Armi di alta potenzialità che le resistenze europee non hanno mai avuto: missili terra-aria capaci di abbattere elicotteri e aerei, razzi anticarro, mitragliere pesanti, cariche esplosive telecomandate e soprattutto munizioni abbondantissime.

Chi ha conosciuto la nostra resistenza sa che il problema delle munizioni non fu mai risolto: dai tre ai quattro caricatori per i mitra, una cinquantina di proiettili per i fucili, una ventina per i mortai. Nei rastrellamenti dell’estate 1944 dovemmo spostare da valle a valle i nuovi arrivati dalla pianura che non potevamo armare. Ricordo l’avvilimento di quei giovani che dovevano in lunga fila abbandonare la battaglia a cui erano volontariamente accorsi.

Molte armi nell’Iraq occupato, molti uomini e una resistenza programmata da anni, non inventata come in Europa giorno dopo giorno. Quando Saddam Hussein alla vigilia della guerra avvertiva gli americani che sarebbero finiti in un pantano, noi pensavamo si trattasse di vuote, generiche minacce e invece il rais annunciava la sua guerra terrorista, quella che conosceva benissimo perché con essa era salito al potere.

E infatti la resistenza in corso non è qualcosa di improvvisato, ma un uso ragionato di bande, di comandi, di rifugi in una guerra che usa la tattica del mordi e fuggi con un controllo capillare del territorio, un uso sicuro delle vie di fuga, un appoggio totale delle popolazioni.

La resistenza irachena è più forte di quelle europee per la grandissima capacità di reclutamento. Non solo può contare sulle reclute irachene che si contano a centinaia di migliaia in un paese dove sono stati disintegrati esercito e polizia, ma dove giungono combattenti da ogni paese islamico attraverso frontiere incontrollabili. E non combattenti qualsiasi, ma i kamikaze, le bombe umane che nella guerra mondiale si trovavano solo nel Giappone.

Le resistenze europee erano separate l’una dalle altre dai presidi tedeschi; da noi persino la collaborazione con i francesi attraverso le Alpi fu discontinua e indebolita da vendette o timori nazionalistici. Le Ffi (Forces françaises de l’interieure), di matrice gaullista, guardavano con sospetto le nostre formazioni quando cercavano riparo oltre confine.

La resistenza irachena può contare su zone di rifugio immense raggiungibili per terra o per mare, fino ai territori tribali del Pakistan, fino alle montagne dell’Iran o attraversando i confini della Siria e della Giordania praticamente incustoditi. Partigiani come l’italiano o lo jugoslavo dovevano resistere o morire sulle loro montagne, non avevano vie di scampo, quello islamico può arrivare all’Estremo Oriente attraverso una catena continua di paesi amici.

I tedeschi in Europa non avevano deserti o zone irraggiungibili a loro disposizione, dovunque c’erano abitanti, strade, telefoni; nell’Iraq le terre di nessuno, che nessun esercito straniero può presidiare, si estendono per centinaia di chilometri.

Nell’Europa del 1945 il desiderio comune degli occupanti come degli occupati era che finisse il grande massacro, che si potesse tornare a vivere in pace. Nell’Iraq e nei paesi dell’Islam, la guerra sembra appena incominciata. Ci sono vecchi della montagna che predicano la guerra sacra, la conquista del mondo. Che errore essere andati nel pantano.

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