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(WSI) – Che c’entra la Sopaf di Giorgio Magnoni con la Fiat? Per ora nulla. E, forse, quel legame non ci sarà mai. Ma per qualche ora la folgorante ripresa del titolo del Lingotto è stata associata al possibile intervento della finanziaria. Poi la febbre è, in parte, rientrata. Anche perché non è la prima volta che Sergio Marchionne si dimostra capace di stregare i gestori dei fondi, come gli è successo venerdì pomeriggio nell’aula severa di Mediobanca.
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Resta comunque intatta la curiosità su Sopaf, già bella addormentata del listino, risvegliata dall’arrivo di Magnoni. Di sicuro c’è che l’incorporazione di Lm, il veicolo di casa Magnoni che ha portato in dote beni per 105 milioni (contro una capitalizzazione di poco superiore ai 60 milioni) è efficace solo da pochi giorni. Altro fatto certo è che è in cantiere, sotto l’ombrello Sopaf, un fondo private che adotterà la filosofia di intervento dell’americana Blackstone, a metà tra la banca d’affari e la società di gestione specializzata nelle storie di risanamento.
Magnoni, in quest’avventura, disporrà di soci di grande prestigio e voglia di fare: Roberto Colaninno e Carlo De Benedetti. Di qui a scommettere sul bersaglio grosso il passo è stato breve. Ma è assai difficile ipotizzare un debutto di quelle dimensioni, che richiederebbe molto di più della disponibilità di capitali freschi (quelli non sono un problema). Ammesso e non concesso che questo trio d’eccezione voglia impantanarsi a Mirafiori e dintorni. Discorso diverso, suggerisce qualche fonte bene informata, se la discussione riguardasse qualche «pezzo» del Lingotto. Allora un’operazione del genere alla Sopaf potrebbe interessare, così come in passato Fiat Avio ha attirato l’attenzione di Carlyle. E Marchionne non ha fatto mistero, nell’incontro con gli analisti, che qualcosa da vendere in casa Fiat c’è ancora.
Sanpaolo Imi
Il basso profilo, soprattutto dopo lo stop dell’operazione Dexia, è la regola in casa Sanpaolo Imi. Non stupisce, perciò, che il presidente Enrico Salza si limiti a replicare con un ermetico «niente di particolare» a chi gli domanda se la banca di Piazza San Carlo abbia individuato una preda o, almeno, un «compagno di strada» (come l’ha definito lo stesso presidente). Prima di darsi ai proclami, il top management dell’istituto vuole che il nuovo assetto organizzativo nel più puro Modiano style, appena approvato, produca i primi frutti.
Più ancora, non si vuole offendere la suscettibilità dei «compagni di strada» fiorentini (guai a parlare di preda) che dovranno accettare l’avanzata del partner torinese. Una posizione prudente, premiata tra l’altro dal mercato, che è pronto a scommettere che proprio l’istituto sabaudo, tra i big del credito, possa dare le migliori sorprese. Ma nel frattempo, in attesa di replicare sul campo ai blitz di Unicredit, non mancano i motivi di consolazione. Basti pensare alla fortunata incursione dei broker di Sanpaolo Imi sul fronte dell’Eni: l’istituto torinese aveva varcato la magica soglia del 2% a metà maggio, in coincidenza con il cambio della guardia alla guida del cane a sei zampe e l’arrivo di Paolo Scaroni. Allora il titolo Eni veleggiava attorno a quota 19,40 euro e c’era chi scommetteva sulla ribellione dei fondi alla staffetta. Nulla di tutto ciò si è verificato. Anzi l’Eni ha macinato da allora solo primati. Il Sanpaolo Imi ha così monetizzato, il primo luglio, la sua fortunata intuizione scendendo sotto quota 2 per cento. In cifre, questo vuol dire almeno 2 milioni e mezzo di titoli ceduti con una plusvalenza attorno ai 3 euro ciascuno. Davvero niente male.
STM
La società di Carlo Bozotti torna, dopo un lungo esilio, tra i primi della classe. Nelle ultime settimane, infatti, il titolo dei semiconduttori ha accumulato più di una promozione tra gli analisti internazionali, gli stessi che l’avevano punito con severi underweight. I motivi? La ripresa del settore, il rafforzamento del dollaro, gli infimi livelli cui era precipitata l’azione dopo il braccio di ferro tra Cassa depositi e prestiti e ministero dell’Economia. Ma, forse, il motivo più profondo è quello rilevato da Lehman Brothers che, dopo aver classificato neutral il settore, ha scelto ieri StM (assieme ad Arm e ad Asml) come titolo preferito tra i chip. Il gruppo italo-francese è stato scelto come «storia di ristrutturazione» in grado di riservare buone sorprese al pubblico. Gli analisti Usa, insomma, hanno preso sul serio il drastico piano Bozotti-Duteuil che, tra l’altro, prevede di accelerare la migrazione a Singapore di lavorazioni effettuate finora in Europa. Compresa l’Etna Valley così cara a Pasquale Pistorio.
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