(9Colonne) – Roma, 17 set – A parlar male della propria azienda si rischia il posto. E poco importa se le lamentele sono tutte legate a lacune reali dell’azienda che paga lo stipendio. Insomma: chiunque causi danni in pubblico all’immagine dei propri datori di lavoro potrebbe essere messo alla porta. A stabilirlo è la Corte di Cassazione che ha annullato una sentenza della Corte d’appello di Milano con la quale, nel 2004, era stata confermata l’illegittimità – già riconosciuta dalla sentenza di primo grado – del licenziamento di un’infermiera caposala da parte della struttura ospedaliera in cui lavorava. A rivolgersi alla Suprema Corte era stata dunque la struttura ospedaliera stessa, sottolineando come l’ex dipendente, diffondendo informazioni riservate, avesse arrecato dei danni “all’estimazione di serietà di una struttura particolarmente nota e di alto prestigio”. La valutazione dei datori di lavoro si riferiva a una serie di “espressioni offensive sulla capacità e sulla professionalità del personale” e alla divulgazione “di addebiti contenuti in una lettera di contestazione relativi al ritrovamento di prodotti scaduti presso il blocco operatorio” che, secondo i giudici di merito non costituivano causa giustificante di un licenziamento. Non così l’hanno pensata i giudici di legittimità, che, disponendo l’annullamento della sentenza di secondo grado, hanno rinviato il caso alla Corte d’Appello di Brescia. Secondo i giudici della sezione lavoro di Piazza Cavour, il ricorso è fondato perché i singoli fatti addebitati “non sono stati in alcun modo valutati nell’ambito della particolare delicatezza della funzione assegnata (infermiera professionale in un ospedale), dello specifico settore in cui il lavoro si svolgeva (blocco operatorio), della elevata responsabilità che ne conseguiva e della fiducia che esigeva”. La Corte d’appello, inoltre, non avrebbe fornito “ragione alcuna della ritenuta assenza di danno che la divulgazione della notizia (anche nei confronti dello stesso personale dell’azienda, nonché per la diffusiva potenzialità verso l’esterno) assumeva per l’immagine di una struttura ospedaliera”. E, cosa più importante, – secondo la Cassazione – “la molteplicità degli episodi, oltre ad esprimere un’intensità complessiva maggiore dei singoli fatti, delinea una persistenza che è di per sé ulteriore negazione degli obblighi del dipendente”.
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