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CACCIA ALL’ AMERICANO MEDIO

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(WSI) – La designazione del vice è la scelta più importante, se non l’unica, che spetta ad un candidato presidente e John F. Kerry chiamando vicino a sé il cinquantunenne senatore del North Carolina John Edwards lascia intendere quale sarà la strategia per tentare di battere George W. Bush al voto del 2 novembre: strappare al partito repubblicano i favori della classe media nel Sud e nel Midwest.

Lo scontro elettorale si consuma in un’America spaccata in due fra liberal e conservatori, con 18 Stati in bilico fra i contendenti per un pugno di voti e un’avversione ideologica reciproca fra sostenitori di Kerry e di Bush. L’unica maniera per vincere è riuscire a rubare anche pochi, ma determinanti favori nel campo avverso. Per i democratici ciò significa farsi largo nella sterminata «Bushland», le roccaforte repubblicana del Sud, lì dove la domenica si prega, l’aborto è messo all’indice, padri e figli sono a loro agio vestendo la divisa ed il fuorilegge ha sempre e solo due scelte: arrendersi o essere eliminato. Questo è il mondo da cui anche Edwards proviene e la ricetta che ha scelto per fare breccia fra i conservatori è rappresentare lo scontento della classe media per disoccupazione, crisi economica e «dominio delle élites» nel tentativo di guidare la protesta dei ceti impoveriti dall’Alabama all’Arkansas contro petrolieri e possidenti terrieri del Texas e della Georgia. I toni di Edwards tradiscono populismo politico e isolazionismo economico che poco si conciliano con la tradizione migliore dei democratici, ma la scelta di conquistare i ceti medi del Sud è la stessa che portò Clinton alla Casa Bianca nel 1992 battendo Bush padre.

Forse non a caso il regista del ticket presidenziale Kerry-Edwards è Terry McAuliffe, indiscusso presidente del partito democratico e clintoniano di ferro, determinato sin dall’inizio a proporre all’elettorato nazionale un tandem «per far trionfare la speranza sulla rabbia», ovvero per riunificare l’America lacerata dalle scelte dell’amministrazione Bush. Ciò che McAuliffe non voleva era sfidare i repubblicani da posizioni ultra-liberal. L’emarginazione del governatore del Vermont Howard Dean, prima stella della corsa presidenziale, e dei temi politici anti-patriottici della sinistra radicale alla Michael Moore sono stati i passaggi attraverso i quali McAuliffe ha con pazienza e costanza aperto la strada ad un tandem che è stato subito definito a Washington di «democratici alla Tony Blair» perché determinati a ricorrere alla forza quando serve per garantire la sicurezza nazionale messa in pericolo dal terrorismo, nuova minaccia del XXI secolo.

Che Bush venga rieletto o no l’accoppiata Kerry-Edwards lascia intendere come si è concluso il lungo scontro sull’identità del partito democratico, vera posta in palio delle primarie. Ad uscire sconfitta è stata la tentazione di rigettare la svolta di Bill Clinton, di tornare ai «vecchi democratici», all’idea di un partito pregiudizialmente ostile all’uso della forza militare ed ai tagli fiscali, nostalgico degli Anni Settanta. La scommessa di Kerry ed Edwards è dimostrarsi più affidabili di Bush e Cheney nel gestire l’agenda della guerra al terrorismo e della ripresa economica perché capaci di «riunificare l’America», di ricostruire l’unità della società nazionale.

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