(WSI) – Al quartier generale di John Kerry non sono affatto contenti. La convention di Boston – al di là dell’effetto sui sondaggi, prevedibilmente molto modesto in una campagna elettorale in cui nove elettori su dieci hanno già deciso per chi votare – aveva colpito nel segno: l’attacco contro la gestione dell’economia del paese, in particolare, aveva messo Bush sulla difensiva, costringendolo a un rapidissimo tour de force negli stati del Midwest, i più colpiti dall’emorragia di posti di lavoro, per tappare la falla. Ma quel vantaggio, l’essere riuscito a imporre la propria agenda, sta già svanendo. E a dover giocare in difesa, ora, sono nuovamente i Democratici.
E’ bastato poco, alla Casa Bianca, per rimettersi in sella. E’ bastato che il presidente annunciasse l’intenzione di accogliere uno dei suggerimenti avanzati dalla Commissione 11 settembre, l’istituzione della nuova figura di coordinatore di tutti i servizi d’intelligence, e che quasi in contemporanea il ministro della Homeland security, Tom Ridge, lanciasse l’allarme sul pericolo di attentati alla cittadella finanziaria di New York. Poco importa che l’impegno di Bush sia ancora molto vago. E meno ancora importa che le informazioni sui piani di al Qaeda risalgano ad almeno tre o quattro anni fa. Perché il primo è comunque un gesto molto popolare (la Commissione è vista, non a torto, come il solo organismo super partes ad appena tre mesi dalle elezioni).
E perché gli allarmi, al contrario di quelli del mese scorso, che puzzavano terribilmente di bruciato, sono ritenuti del tutto verosimili. Cosa che zittisce sul nascere il coro di disapprovazione e di accuse che alcune settimane fa aveva accompagnato il precedente annuncio di Ridge sui possibili attentati contro le convention o in concomitanza con il voto presidenziale: un annuncio non circostanziato e palesemente gonfiato che aveva indotto anche i media più cauti a dubitare della sincerità del ministro, e ad avanzare il sospetto che si trattasse di una manovra per distogliere l’attenzione dall’imminente raduno del Partito democratico e da tutti gli altri problemi che gravano sul paese.
L’ultima soffiata, invece, potrebbe essere seria. Arrivata dal Pakistan, riguarda i sopralluoghi che gli agenti di Osama bin Laden avrebbero fatto tra il 2000 e il 2001 per studiare l’ubicazione, la struttura e i sistemi di difesa di alcune fra le massime istituzioni finanziarie al mondo: la borsa di Wall Street e la sede della Citygroup a New York, il quartier generale della Prudential a Newark, nel New Jersey, e le sedi del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale a Washington Dc.
Il motivo per cui queste informazioni sono prese sul serio è che al Qaeda è un’organizzazione capace di agire e pianificare su tempi molto lunghi, per poi entrare in fase operativa solo al momento ritenuto più opportuno. Il fatto che i sopralluoghi risalgano ad alcuni anni fa (ma c’è anche il sospetto che possano essere proseguiti fino a tempi molto più recenti) non significa dunque che si tratti necessariamente di progetti accantonati. Se non l’allarmismo, insomma, l’allarme è giustificato.
Nondimeno, non sfugge a nessuno che il ritorno della paura possa condizionare gli orientamenti dell’elettorato. Se John Kerry è nettamente in cima alle preferenze dei suoi concittadini per quel che riguarda la gestione dell’economia, e dopo la convention ha superato per la prima volta Bush anche nell’indice che misura la fiducia sulla conduzione della guerra in Iraq, sulla lotta al terrorismo il candidato democratico è ancora terribilmente indietro: 12 punti percentuali, secondo la rilevazione fatta dal trio Cnn/New York Times/Gallup, che pur rappresentando un netto miglioramento rispetto ai sondaggi pre-convention (quando la distanza era di 18 punti), resta un margine molto elevato: una montagna da scalare che diventa tanto più impervia quanto l’attenzione generale viene sottratta all’economia e al lavoro e riportata sui temi della sicurezza del paese.
La sola, parziale consolazione – per i Democratici – è data dal fatto che Bush, anche quando riesce a riconquistare il centro della scena, fa sempre fatica a essere pienamente convincente. L’annuncio sulla creazione del coordinatore dei servizi, per esempio – che materialmente avverrà chissà quando, perché dev’essere varata una legge apposita – si è immediatamente guadagnato una bordata di critiche da parte della grande stampa, New York Times e Washington Post in testa.
L’accusa, niente affatto velata, è di aver cercato il colpo a effetto senza alcuna considerazione per le effettive implicazioni di una scelta siffatta: la Casa Bianca, infatti, è inciampata nei dettagli, tutt’altro che secondari: in primis, i poteri reali della nuova “superspia”. Che a quanto si apprende, non avrà in mano il budget delle singole agenzie di sicurezza, e certo non potrà dettarne le strategie. Il timore è che sia l’ennesima scatola vuota, uno specchietto per le allodole. Basterà a insospettire gli elettori?