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Bundesbank: l’oro resti dov’è, non deve rientrare in Germania

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Berlino – Nonostante non ci siano ancora annunci ufficiali, la Germania sta vendendo oro da Londra, nel quadro di una rete di ‘attivita’ strategiche’ segrete che hanno ridotto l’ammontare di lingotti d’oro conservati nei forzieri della Banca d’Inghilterra a 500 tonnellate.

Dalla Bundesbank e’ arrivato un secco no ai controllori di Stato che vorrebbero fare un inventario delle riserve auree, un tesoro da 133 miliardi che dal primo Dopoguerra è tutto nei forzieri stranieri di Francia, Inghilterra e Stati Uniti.

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Il contenuto di questo articolo, pubblicato da La Repubblica – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

di Andrea Tarquini

Berlino – Se non è tutto oro quello che riluce, non tutti i pregiudizi sono sempre veri. Tocca alla Bundesbank, il fortino dei Templari dell’ortodossia monetaria e custodi del Modell Deutschland, dire che bisogna fidarsi degli stranieri, anzi è più sicuro e più redditizio che l’oro tedesco resti dov’è. All’estero. Guai a sognare di rimpatriarlo.

Avventura insolita. La Corte dei conti tedesca ha chiesto un inventario delle riserve auree tedesche, tutte depositate all’estero dal dopoguerra, nel mondo diviso dalla guerra fredda. E non è tutto: aveva insistito per rimpatriare una buona parte dei lingotti. Nostalgia, anzi ‘Sehnsucht’ dell’oro. Quasi evoca le leggende wagneriane dell’Oro del Reno, ma non parliamo del prode Sigfrido contro il drago Fafnir, bensì di 3.396 tonnellate in lingotti, almeno 133 miliardi di euro. Arma assoluta dell’eurozona, seconde riserve auree al mondo per quantità e valore dopo quelle degli Stati Uniti.

“Effettuiamo prelievi come accertamento dei nostri stock”, ha intimato la Corte dei conti. Quasi evocando spettri di diffidenza antica verso il resto del mondo. Neanche per sogno, sarebbe contro ogni prassi, ha replicato l’istituto guidato dal giovane Jens Weidmann, il grande rivale di Mario Draghi al vertice Bce. Pochi lo sanno, ma dal dopoguerra l’Oro del Reno è emigrato.

Quando la Bundesbank nacque – nel 1948, un anno prima della Repubblica federale
– la Germania sconfitta e l’Europa intera erano divise. Da un lato democrazie sotto l’ombrello atomico angloamericano, dall’altro paesi di antica cultura occidentale (dalla Polonia alla Cecoslovacchia sesta potenza industriale del mondo) asserviti all’Impero del Male creato da Stalin. E si creò il paradosso.

La banca simbolo e legittimazione della giovane democrazia di Bonn, nata un anno prima di quest’ultima, decise consigliata dai vincitori, ex nemici e alleati, di mettere i suoi lingotti al sicuro. A Fort Knox superblindato della Fed, nei bunker della Bank of England difesi dai migliori reparti e jet di Sua Maestà, nei forzieri della Banque de France. Passarono i decenni, l’Impero del Male crollò, la Germania fu riunificata, ma i lingotti restarono lì.

“E se trovassimo al loro posto piombo o cartone verniciato?”, ironizza Der Tagesspiegel. Niente paura, stanno bene là, più vicini alle maggiori piazze d’affari mondiali, assicura la Bundesbank.

Se insomma un Goldfinger tentasse di rubare l’Oro del Reno, Navy seals americani e Sas britannici lo salveranno, è il messaggio. Nel film di 007 per inciso Goldfinger che sfida Sean Connery e tenta di svaligiare Fort Knox fu interpretato da un grande, compianto attore tedesco, Gert Froebe.

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