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Btp Italia? Magari anche no

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Il contenuto di questo articolo, pubblicato dal sito dell’autore per l’Universita’ degli Studi di Torino – che ringraziamo – esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

Torino – La prima emissione è stata un successo per il Tesoro. Non per i risparmiatori che l’hanno sottoscritta. Il primo può vantarsi e si è vantato ai quattro venti di avere piazzato 7,3 miliardi di euro di Btp Italia 2,45% 26-3-2016. I secondi invece non hanno motivi per essere contenti: i titoli pagati 100 valevano venerdì scorso circa 96,5.

Meglio la mattonella. Gli sarebbe quindi convenuto tenere i soldi sotto il materasso e sottoscrivere ora la nuova emissione, cioè i Btp Italia 11-6-2016 in collocamento fino al 7 giugno, sempre che l’ardore patriottico non gli sia passato. Né questi sono commenti col senno del poi, perché limiti e rischi di quel prestito erano noti già al momento del collocamento, quando giornalisti, gestori di fondi e altri pretesi esperti sproloquiavano all’unisono, colti da un improvviso attacco di nazionalismo finanziario.

Si vedano le critiche alla precedente emissione in un mio articolo su la Repubblica (26-3-2012, Affari & Finanza, pag. 21), disponibile con parecchi altri approfondimenti nella mia pagina web all’Università di Torino

Principali difetti. Che dire dell’imminente seconda emissione di Btp Italia? Non è una schifezza, ma il Tesoro (bontà sua!) non ha mai emesso schifezze, come invece di regola le banche e le assicurazioni italiane (e non solo).

Strutturalmente identica alla prima, paga interessi pari all’inflazione italiana maggiorati di una percentuale che non potrà essere inferiore al 3,55% su base annua. Il maggiore tasso reale non è però frutto di generosità, ma del famigerato spread, ora più alto che nella bonaccia illusoria di qualche mese fa. Alla scadenza rimborsa il capitale con un premio risibile per chi la detiene per tutti i 4 anni.

L’aggancio all’inflazione italiana è sensato, ma non è mica detto che essa sarà più alta che nell’eurozona. La durata breve non è un vantaggio, perché tutela meno nel caso di periodo di alta inflazione. Ogni semestre viene corrisposta l’inflazione del periodo, ma chi spende integralmente le cedole, di fatto erode il potere d’acquisto del capitale investito. Anche qui è preferibile la formula finanziaria dei Btp-i e ancor di più quella dei buoni postali.

Ma il secondo Btp Italia conserva soprattutto due limiti di fondo per chi cerca davvero la sicurezza:

1. È emesso dallo Stato italiano e verrebbe quindi coinvolto da una sua insolvenza, tuttora per altro improbabile.

2. Resta comunque il rischio di rimetterci, dovendolo vendere prima della scadenza. Quest’ultimo rischio non si corre coi buoni fruttiferi postali indicizzati all’inflazione, di cui fra l’altro la serie di giugno (J25) è migliore delle quattro precedenti.

Giornalismo sempre scadente. Insomma, non è cambiato molto rispetto all’emissione precedente. Neppure nel livello del giornalismo economico italiano, che resta bassissimo. La scheda on line sui Btp Italia del Sole 24 Ore sembra un testo pubblicitario, come al solito. Tutto appare positivo, con toni apologetici anche per aspetti secondari (e in realtà discutibili), come quando scrive “Durata quadriennale: si tratta di una durata pensata per il risparmiatore, che si spinge facilmente fino ai tre anni e che ha difficoltà a fare il salto passando a cinque anni”.

Al Tesoro hanno scoperto che fra il 3 e il 5 c’è il 4: un applauso!
Ancora più sconcertante l’articolo sul Mondo (8-6-2012, pag. 37) di Fabio Sottocornola che dà l’altoparlante a Valentina Vicinanza di Banca Akros, dai cui commenti deduce “un bel vantaggio in termini di rendimento reale” che proprio non si vede. La suddetta prevede poi che il tasso minimo garantito “non sarà diverso dal precedente, comunque non molto più alto”. Prontamente smentita dai fatti.

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