Società

Bruno Vespa: la faccia tosta di protestare per “mancanza di spazi”

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(WSI) – Caro direttore, c’è ancora posto in Italia per i moderati che non vogliono indossare l’elmetto? Domenica mattina a Milano sono stato coinvolto in un episodio molto sgradevole. Avevo appena cominciato a firmare copie del mio libro Il cuore e la spada nel Multicenter Mondadori di piazza Duomo quando sono stato aggredito verbalmente da Pietro Ricca, l’uomo che molti anni fa gridò «Buffone» e altro a Berlusconi in un corridoio del tribunale, venendo poi assolto in giudizio.

Già negli anni passati Ricca era venuto ad insultarmi quando qualche mia
apparizione pubblica a Milano era stata annunciata e venerdì scorso mi aveva aspettato, con un suo amico provvisto di telecamera, all’ingresso del Circolo della Stampa dove con Umberto Veronesi, il presidente dell’Ordine dei giornalisti Iacopino e altri dovevo commemorare Gigi Ghirotti, che dà il nome a una fondazione per la dignità del malato terminale di cui sono presidente.

Domenica c’è stato tuttavia un salto di qualità. La voce tenorile di Ricca mi ha fatto piovere addosso insulti di ogni genere per tutta la durata della mia permanenza nell’affollatissima libreria, nonostante la presenza di due agenti della Digos mandati dopo l’episodio di venerdì («Non mi toccate – gridava – siete nostri dipendenti!»). Ma per la prima volta, accanto a lui e alla telecamera, erano presenti altri suoi amici che hanno tirato fuori cartelli di insulti, addebitandomi ogni presunta nefandezza del governo Berlusconi, di cui sarei un servo ben retribuito, e un uso scorrettissimo del servizio pubblico.

Io ho reagito, rispondendo vivacemente a Ricca e ai suoi, soprattutto sul tema del terremoto dell’Aquila al quale, come sai, sono piuttosto sensibile. Ma la gente era sbigottita e spaventata e solo un paio di signore hanno avuto la forza e il coraggio di unirsi alla mia reazione.

Non ti racconterei tuttavia l’episodio se esso non fosse soltanto la manifestazione più clamorosa di un clima che mi preoccupa. Tu sai che Porta a porta, con i suoi limiti e i suoi difetti, è l’unica trasmissione di un certo peso non schierata a sinistra tra le tante che vanno in onda sulla Rai e quella che – occupandosi di politica non più di una volta alla settimana, in media – viene trasmessa nell’orario più sacrificato. Sai anche con quanto scrupolo cerchiamo di rappresentare le diverse opinioni. Riceviamo per questo molti apprezzamenti e anche critiche legittime.

Il problema è che una fascia consistente di persone vorrebbe che Porta a porta non esistesse: quanti sanno, per esempio, che mentre direttori dei giornali schierati con Berlusconi – anche con toni molto vivaci – trovano giustamente ospitalità a Ballarò e AnnoZero, i nostri inviti vengono respinti da anni dai giornalisti di Repubblica e dell’Unità? Quanti lavoratori possono immaginare che Guglielmo Epifani, col quale ho peraltro un cordiale rapporto personale, invitato invano per anni, è venuto solo al momento di lasciare la Cgil?

Il meritato successo della trasmissione di Fazio e Saviano ha un suo meno noto risvolto: la crescente intolleranza verso chi è su posizioni diverse. Nonostante anche nel mio ultimo libro, tutt’altro che militante, mi sia fatto scrupolo di affiancare posizioni divergenti sui temi più controversi degli ultimi due secoli di storia italiana, vengo rinchiuso dall’ intelligencija, ora allargata al «ceto medio riflessivo», nel lazzaretto degli appestati.

Ho già vissuto un’esperienza del genere: il ’93 e la caduta della Prima Repubblica. Poi arrivò inopinatamente Berlusconi a ridare voce ai moderati. Stavolta temo una involuzione peggiore e mi rifiuto di credere che chi non sta a sinistra debba rifugiarsi dietro posizioni urlate e prepararsi alla resistenza fisica. Il paradosso è poi questo.

Nella Rai che si vuole controllata militarmente dal Cavaliere, a parte il Tg 1 tradizionalmente filogovernativo, la sinistra non ha mai avuto storicamente gli spazi e le superbe collocazioni orarie di oggi, mentre ogni tentativo di miglioramento degli spazi moderati finora s’è infranto dietro pastoie d’ogni genere. E il poco che resta deve essere pure criminalizzato. Che futuro dobbiamo aspettarci, caro direttore?

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