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BRAVO BERNANKE, MEGLIO STAR FERMI

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(WSI) – Il dollaro ha ripreso a calare, il destino dello yuan cinese è ancora irrisolto, anche se la banca centrale stringe le redini del credito immobiliare. I titoli del debito hanno subìto una netta correzione al di qua e al di là dell’Atlantico e per Alan Greenspan certi asset finanziari e reali sono a rischio. Il risultato? Ben Bernanke, il nuovo timoniere della Federal Reserve, non perde tempo: va al Congresso e spiega che, per ora, la stagione dell’aumento dei tassi, inaugurata nel giugno del 2004, è finita. La sensazione è che le grandi banche centrali si preparino a muoversi per metter l’inflazione sotto controllo senza compromettere la congiuntura e la tenuta dei listini. Ma ce la faranno? Borsa & Finanza ha chiesto lumi a Edward G. Boehne, l’ex presidente della Fed di Filadelfia.

Già dai verbali dell’ultima riunione della Fed emergeva la voglia di interrompere la stretta confermata da Bernanke. Ma ci sono anche segnali di segno opposto sull’inflazione. Resoconto secondo cui a marzo l’inflazione era eccessiva. Qual è la sua opinione?
Il direttorio dell’Istituto centrale si ritroverà a Washington il prossimo 10 di maggio. In quell’occasione un rialzo di 25 punti base è praticamente certo, portando il saggio base al 5 per cento. Dopodiché Bernanke si fermerà. E farà bene anche se, come è giusto, si lascerà le porte aperte per mosse successive in direzione diversa a seconda di ciò che la situazione richiederà.

Ma che cosa giustifica una pausa in questo momento?
Bernanke è consapevole che, perché la normalizzazione dei tassi d’interesse produca tutti i suoi effetti, occorre tener conto del fattore tempo: le decisioni di questi anni, non dimentichiamo che i tassi sono saliti del 4% in tre anni, svilupperanno tutta la loro efficacia tra 6-18 mesi. Io condivido questa posizione cauta, d’attesa.

Anche perché in passato, non di rado, una stretta monetaria eccessiva ha provocato situazioni di recessione. Dico bene?
Esatto. La Fed è stata criticata in passato per questo e vuole evitare che la cosa si ripeta. La Banca centrale è preoccupata di non penalizzare troppo l’economia.

Ma così non rischia di prestare il fianco a una fiammata dei prezzi?
Ritengo che nella fase attuale la minaccia di un rallentamento eccessivo della congiuntura eserciti un peso maggiore rispetto all’insidia del carovita. Inoltre, le stesse tendenze internazionali alla competizione e delocalizzazione fanno da argine naturale alla crescita dei prezzi.

Si fa un gran parlare della diversificazione delle riserve valutarie dal dollaro allo yen e all’euro. Se fosse lei il governatore della Banca centrale cinese, o anche russa, cambierebbe il mix delle riserve valutarie?
Penso di sì. Un certo ricambio sarebbe ragionevole. A ogni buon conto, è interesse di tutte le più importanti autorità monetarie del mondo evitare che la diversificazione delle riserve non si traduca in una destabilizzazione del sistema monetario internazionale. È comprensibile, ad esempio, che la Banca del Popolo sia riluttante ad accumulare oltre certi limiti montagne di dollari nelle sue casseforti. Però è consapevole del ruolo di traino esercitato dall’offerta degli Stati Uniti per i produttori cinesi. E non ha interesse a innescare un ripiegamento disordinato del dollaro.

Insomma, diversificazione sì, ma in punta di piedi…
Solo le piccole Banche centrali possono mettere in atto una diversificazione ottimale delle riserve senza badare troppo ai contraccolpi. Quando si parla delle autorità monetarie più importanti del pianeta, invece, ogni decisione deve tener conto di un numero di fattori ben più rilevante.

Di recente Alan Greenspan, l’ex numero uno della Fed, ha affermato che «il valore degli asset alla fine scenderà» per colpa dell’eccessiva liquidità. Ma la liquidità l’ha provocata la politica della Fed. È un’ammissione di colpa?
Beh, semmai il riconoscimento di un rischio calcolato: per evitare una grave crisi economica, le grandi Banche centrali si imbarcarono senza riserve in una linea d’azione senza compromessi, volta a garantire un’ampia disponibilità di moneta. L’inflazione dei valori finanziari e reali è stato un effetto collaterale, una conseguenza di quella strategia. Ora le medesime autorità centrali si stanno adoperando per riassorbire gli eccessi.

Ed è stata una scelta oculata?
Questo ce lo dirà solo il tempo, ma allora sembrava la scelta migliore in un momento di grande incertezza.

In poche settimane abbiamo assistito a un aumento dei tassi d’interesse offerti dalle obbligazioni governative. Crede si tratti di una vampata temporanea o ci dobbiamo aspettare un rialzo ulteriore?
I rendimenti dei titoli federali erano insolitamente bassi, perciò più che di rialzo dei tassi parlerei di ritorno alla normalità. Mi aspetto una crescita di altri 30-50 punti base. Dunque il decennale Usa ha una buona probabilità di finire al 5,5% dal 5% attuale. E a dirla tutta non è neanche uno sviluppo negativo…

Che cosa intende esattamente?
La Federal Reserve è in grado di interrompere la pressione sui saggi a breve termine proprio perché la progressione di quelli a lunga scadenza reca in sé il potenziale per raffreddare le esuberanze maggiori e per tarpare le ali all’inflazione.
Greenspan ha anche parlato di un calo eccessivo del premio al rischio.
È un’asserzione condivisibile. In estrema sintesi, il debito degli emittenti più deboli offre un premio troppo basso rispetto a quello degli emittenti sicuri, come il Tesoro degli Stati Uniti. È in corso un allargamento degli spread e la tendenza si spingerà oltre.

Di tanto in tanto i governi occidentali provano a premere sulla Cina affinché rivaluti la moneta nazionale, lo yuan. Crede che si tratti di un auspicio generico o che si vada verso un inasprimento del braccio di ferro?
Personalmente, escludo una svolta dietro l’angolo. Lo squilibrio di cui stiamo parlando soddisfa certe esigenze. I cinesi hanno troppo interesse a coltivare la crescita interna e la moltiplicazione dei posti di lavoro. Teniamo a mente che essi hanno adottato un piano di sviluppo secondo cui la liberalizzazione dell’attività economica non esclude il rigido controllo del sistema politico sia nel nocciolo centrale sia nelle sue articolazioni periferiche. Questa concezione della società può funzionare solo se è in grado di generare un numero adeguato di posti di lavoro.

Allora niente rivalutazione dello yuan?
Assisteremo a un aggiustamento molto graduale, ma insufficiente a correggere il deficit commerciale fra Cina e Stati Uniti. Al momento, lo squilibrio serve i suoi scopi.

Si aspetta una discesa del dollaro?
Mi aspetto sia una discesa del dollaro sia una ripresa del tenore produttivo nelle altre aree geopolitiche del mondo come l’Europa e il Giappone. Ciò dovrebbe migliorare la domanda per le merci americane e favorire una stabilizzazione del rosso per quanto concerne il disavanzo statunitense.

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