La fortezza berlusconiana mostra crepe visibili nei bastioni. Berlusconi vede che l’onda lunga del 2008 si è andata ad infrangersi sugli scogli di Milano e della Lega, con Bossi che ieri a via Bellerio ruggiva («perdiamo per colpa del Pdl e della Moratti che è bollita, per fortuna noi vinciamo altrove»). Nelle stesse ore, man mano che i dati veri del ministero dell’Interno confermavano le proiezioni, anche il premier accusava la Lega di avere contribuito a questa batosta, «perché differenziarsi come hanno fatto loro negli ultimi tempi, su tutto, non paga». Chissà se nella telefonata che c’è stata tra i due queste cose se le Sono dette in faccia. Nel giro stretto del capo, rimasto in silenzio stampa ad Arcore con il suo portavoce Paolo Bonaiuti, c’è aria di funerale. E molti adesso ammettono che la ricandidatura della Moratti sia stato un errore.
Lui, Berlusconi, deve ripensare la strategia di comunicazione, con quale linea riprendere la campagna elettorale per il secondo turno. Sono tanti i dirigenti del Pdl che gli consigliano più moderazione, di concentrarsi sui problemi della città, di non continuare con il bombardamento della procura di Milano e i concentramenti rumorosi davanti al Tribunale. Ascolterà questi consigli che anche Bossi gli aveva dato? Riuscirà a far emergere la vera anima moderata della Moratti e non dare ascolto alla Santanché e Sallusti che nel partito con cattiveria hanno soprannominato Olindo e Rosa.
Adesso Berlusconi è deluso, amareggiato, stupito. Stupito che Lettieri a Napoli non ce l’abbia fatto al primo turno mentre il «forcaiolo» De Magistris abbia superato il 20% dei voti. Perfino a Cagliari il candidato del centrodestra Fantola è costretto al ballottaggio e a inseguire il vendoliano Massimo Zedda (Sel) addirittura in vantaggio.
Ma lo choc di Berlusconi è per la sua Milano, per il dato di Pisapia che veleggia attorno al 48%. Ha chiesto spiegazioni al coordinatore Verdini che, imbarazzato, nel pomeriggio ha subito risposto che bisognava aspettare i dati certi, i voti scrutinati e non le proiezioni. Certo, ha provato a dire Verdini, la Moratti ha un trend negativo… «Negativo? Pessimo. Se questi dati verranno confermati dallo scrutinio, al ballottaggio non vinceremo mai, nemmeno se recuperassimo tutti i voti moderati in libera uscita», ha osservato il premier.
Il quale è ancora più deluso, amareggiato e stupito per il flop personale come capolista del Pdl a Milano. La città non l’ama più? Nella scorsa tornata aveva fatto il pieno di preferenze totalizzandone 53 mila. Un plebiscito che questa volta non c’è stato perché il Cavaliere a Milano dovrebbe attestarsi attorno ai 15, massimo 20 mila preferenze. Una cifra terribile di sfiducia per il futuro politico di Berlusconi, che testardamente ha voluto trasformare queste elezioni amministrative in un referendum su se stesso, sul governo e sulle inchieste che lo riguardano.
Per Berlusconi a Napoli la vittoria al secondo turno potrebbe essere a portata di mano perché il Pd non riuscirà a trovare un accordo con De Magistris. Poi quelli del Terzo polo mai e poi mai voterebbero per il «forcaiolo». Ma a Milano lo spartito è diverso. Qui il Cavaliere non ha il minino dubbio che Casini, Fini e Rutelli vogliano dargli il colpo finale del ko. Ben sapendo che fargli perdere questa città significa spezzare l’asse con Bossi e far cadere il governo. Nessuna dichiarazione ufficiale, comunque. Il portavoce Paolo Bonaiuti rinvia a oggi quando i dati saranno definitivi. A bocce ferme incontrerà Bossi. Vuole farlo a mente fredda. Meglio prima far decantare le cose ed evitare reazioni emotive. Tenendo conto, ha spiegato Berlusconi, che la Lega non è andata bene a Milano. Il Carroccio era accreditato del 15% e ora bene che vada raggiunge il 10%. Qualcuno nel Pdl sospetta che non ci sia stato un impegno forte del Carroccio, che avrebbe fatto votare per la propria lista e non per la Moratti.
Circolano le voci più incontrollate, sospetti e veleni tipici di una campagna elettorale andata male. Veleni che scorrono anche dentro il Pdl. La resa dei conti nel partito è rinviata alla fine dei ballottaggi, ma già c’è chi dice «io l’avevo detto che andava a finire così». Sono le colombe che puntano il dito contro gli «estremisti» interni, e non risparmiano nemmeno Berlusconi che ha forzato e sbagliato i toni. C’è Scajola sul piede di guerra che attende di essere reintegrato nel governo. Non solo. Cosa succederà tra i Responsabili, tra i nuovi arrivati nella maggioranza che adesso sentono puzza di bruciato? Continueranno a garantire il loro voto al governo?
Sono tanti gli interrogativi che si pone Berlusconi, il quale non vuole sentir parlare di divisioni. Dovrà avere il colpo d’ala, tirare il coniglio dal cilindro, salvare il salvabile alle amministrative e poi rilanciare l’azione del suo esecutivo con provvedimenti di crescita economica, di riduzioni delle tasse. Tremonti glielo permetterà? Sono queste le riflessioni che si ascoltano tra i dirigenti Pdl.
Non è di questo che però ieri sera si è messo a discutere ad Arcore. Ha preferito convocare un vertice per il calciomercato con il presidente e l’allenatore del Milan Galliani e Allegri.
Copyright © La Stampa. All rights reserved
************
di Roldolfo Sala
MILANO — Via Bellerio, alle dieci di sera non si vede ancora uno straccio di dirigente, nello stanzone al primo piano che la Lega ha attrezzato a uso di cronisti e cameramen. Filtrano solo «l’irritazione e lo stupore» di Umberto Bossi: «Il Pdl ci ha fatto perdere». Sentimenti riferiti da qualche colonnello, che fa la spola tra lo stanzone e l’ufficio del Capo. Lui è di sopra, di commentare pubblicamente il voto non ha alcuna voglia. Ma la sua delusioneva ben oltre i dubbi della vigilia sull’esito di questa tornata amministrativa, che Berlusconi ha voluto politicizzare, e drammatizzare al massimo, mentre la Lega consigliava prudenza. Ed è un silenzio gravido di pericoli perla maggioranza di governo, fatalmente sottoposta ai contraccolpi di un verdetto che un leghista di prima fascia definisce «una rivoluzione».
Perché, e questa è la lezione che qui in via Bellerio gli attivisti dicono di aver imparato, «l’alleanza con il Pdl non è più vincente, e per la prima volta toglie qualcosa anche a noi». Un quarto d’ora dopo le dieci, scendono Roberto Castelli e Roberto Calderoli. A proposito del risultato milanese il primo parla di «anomalia da correggere, la città non può essere governata dall’estrema sinistra». Il secondo conferma l’impegno della Lega per il ballottaggio (»dimentichiamo gli errori, altrimenti si perde»), ma manda un avertimento a Berlusconi: «Il governo dovrà essere ancora più determinato sul capitolo delle riforme, è su queste che si vincono le elezioni, è a queste che il nostro elettorato è più sensibile».
Un leghista varesino traduce così: «Abbiamo mandato giù la m…. adesso per farci restare al governo ci devono dare tutto quello che chiediamo». Le acque sono agitate, tanto che il vice sindaco di Treviso Giancarlo Gentilini arriva a mettere in discussione l’infallibilità del Capo: «Bossi deve prendere coscienza che i tempi stanno cambiando, tanti leghisti mi dicono che non voteranno più Lega». Insomma: «La gente non vuole voli pindarici, non è interessata a opere come lo Stretto sul Ponte di Messina; basta con progetti da fantascienza, Umberto tenga i piedi per terra».
Qualcuno, nell’inquieto sotto-partito dei sindaci, quello che negli ultimi mesi ha mostrato di guardare con grande favore alle suggestioni “solitarie” di Bobo Maroni, si spinge oltre. E, protetto dall’anonimato, sbotta: «Il mondo sta cambiando, e noi non ce ne stiamo accorgendo». Sintesi perfetta dei tormenti che agitano la base leghista, ancora una volta amplificati ieri da Radio Padana: «Siamo andati dietro a Berlusconi – si è lamentato un ascoltatore – per fargli le leggi ad personam, e il risultato che perdiamo voti a Milano». Un altro, si chiama Vittorio, fa parte della non ridotta schiera dei leghisti che ammette di essersi divertito con il voto disgiunto: «Ho dato la preferenza alla Lega, ma non alla Moratti, quella non la voto neppure sotto tortura, perché ha governato male».
Già la Moratti e Milano, la capitale del Nord. E quello il risultato che più allarma i leghisti, al netto di chi, nella base, si compiace della “lezione” impartita a donna Letizia. Magari – lo si è visto ai seggi, lo raccontano frotte di scrutatori, lo ammette perfino il presidente leghista del consiglio regionale lombardo, Davide Bon – mettendo una croce sul nome di Giuliano Pisapia, l’ avversario al quale il sindaco uscente ha fatto un’imboscata mediatica, peraltro basata sul falso, ricevendo in cambio da Bossi e dalla Lega tutta una valanga di rimproveri. Che hanno inevitabilmente coinvolto pure Berlusconi, prontissimo ad avallare, forse a suggerire, quell’uscita che è costata alla Moratti l’onta del secondo posto.
Il Senatùr è chiuso nella sua stanza dal primo pomeriggio, e con lui, oltre a Calderoli e Castelli, ci sono il capogruppo alla Camera Marco Reguzzoni, il governatore del Piemonte Roberto Cota. Sobbalza quando, alle 15, vede quella prima strisciata degli intentional poll su Milano: ballottaggio sicuro, ma almeno la Moratti è ancora in vantaggio su Pisapia. Poi tutto volge al peggio, sotto la Madonnina, e non vale come grande consolazione l’essere quasi riusciti, con un proprio candidato, a imporre il ballottaggio a Bologna. A Varese, la culla del leghismo, fino a tarda sera il sindaco lumbard Attilio Fontana balla attorno al 50 per cento, nonostante l’alleanza con il Pdl (sulla quale Maroni nutriva forti dubbi). Ma neppure dove si corre da soli va molto meglio: a Trieste è un disastro, a Gallarate c’è una tripolarizzazione quasi perfetta. Si puo’ sorridere solo a Rho e a Desio, dove la Lega agguanta il ballottaggio. Ma può bastare?
Copyright © La Repubblica. All rights reserved