Sembra che i mercati azionari si siano ripresi – l’indice Dow Jones Industrial Average e’ in crescita del 17% dal 22 marzo e il Nasdaq Composite ha conquistato il 35% dal 4 aprile – ma gli investitori professionisti rimangono scettici sulla possibilita’ di ritornare ai guadagni della fine degli anni novanta.
La ragione di un tale scetticismo risiede, secondo il Wall Street Journal, nelle valutazioni.
Il mercato ha infatti pobabilmente toccato il fondo questa primavera, ma alcuni titoli avevano raggiunto punte estreme negli anni scorsi.
Nonostante il calo del 68% del Nasdaq dal 10 marzo 2000 gli indici non sono mai scesi a livelli al di sotto della media.
Alcuni titoli quindi non sono piu’ sopravvalutati, ma non sono nemmeno convenienti.
Nemmeno i rialzisti a oltranza credono che si ripetera’ il toro degli anni scorsi e prevedono i maggiori guadagni dai titoli non tecnologici a bassa capitalizzazione.
“Non siamo in un gigantesco mercato ‘toro’ – ha commentato Steve Leuthold della societa’ di gestione Leuthold Weeden Reasearch – Potrebbe continuare per un anno e mezzo, ma non si trasformera’ in un mercato simile a quello iniziato nel 1990”.
Secondo dati di Ned Davis Research l’indice S&P 500 viene infatti scambiato ancora a 27 volte gli utili delle societa’ componenti – un livello inferiore alle 35,6 volte di due anni fa, ma comunque ancora notevolmente eccedente la media di 15,3 del secondo dopoguerra.
Queste valutazioni sono in parte giustificate dai bassi livelli d’inflazione e dei tassi d’interesse, ma pochi esperti credono che il rapporto prezzo/utili dell’S&P 500 possa crescere ulteriormente.
Cio’ significa che l’aumento dei prezzi azionari dovra’ derivare soprattutto dalla crescita degli utili e gli analisti temono che per qualche anno potrebbero essere modesti.
“E’ vero che la maggior parte degli indicatori di mercato sono al rialzo – ha commentato Ned Davis – ma le valutazioni suggeriscono solo un mercato toro limitato”.
Naturalmente non tutti gli operatori del mercato sono d’accordo sulla lettura del rapporto prezzo/utili.
Per molte societa’ high tech dell’indice Nasdaq il p/e e’ negativo, quindi non e’ molto utile nella loro valutazione.
Un altro problema riguarda questa misura di valutazione quando il mercato tocca il fondo. In questi casi il rapporto p/e non e’ ai minimi poiche’ il mercato tocca il fondo quando l’economia e’ prossima al peggio e gli investitori anticipano una ripresa.
Gli utili sono quindi bassi e il rapporto p/e e’ alto.
Il rapporto prezzo/utili in questi casi e’ di solito piu’ vicino alla media di mercato che non lo sia ora.
Alcuni investitori preferiscono il rapporto prezzo/utili previsti per l’anno, in quanto i prezzi azionari sono basati sulle aspettative.
Gli analisti – secondo Thomson Financial/First Call – prevedono che gli utili delle societa’ dell’S&P 500 possano aumentare l’anno prossimo dell’11%, quindi il rapporto p/e futuri e’ inferiore al rapporto p/e. Su questa base molti investitori sono tornati ad acquistare titoli, ma gli analisti sono a dir poco scettici.
Edgar Peters, a capo degli investimenti di PanAgora Asset Management, valuta i titoli azionari mettendo a confronto il loro possibile guadagno con quello dei titoli obbligazionari.
All’inizio dell’anno scorso Peters era ribassista e consigliava agli investitori di tenere solo il 20% in titoli azionari. Oggi pensa che il mercato azionario possa dare un rendimento migliore dei bond – anche se di poco.
L’S&P 500, pensa Peters, sara’ valutato correttamente dopo un guadagno del 10%.
Vista la debolezza dell’economia gli utili dell’ S&P 500 non dovrebbero infatti variare drammaticamente nel prossimo futuro. Se gli utili aumentano notevolmente anche i prezzi azionari potrebbero crescere .
Robert Prince, direttore delle ricerche di Bridgewater Associates prevede invece che gli utili aziendali possano calare del 10% – 23% annuo nei prossimi tre anni in base alla sua analisi sui livelli del debito e sul costo del lavoro.
Anche se gli utili delle societa’ del Nasdaq dovessero pero’ crescere del 30% all’anno – sostiene Prince – i prezzi degli high tech sono cosi’ alti che rimarrebbero sopravvalutati in base al suo modello.
Sebbene discordi sulle previsioni, Davis, Leuthold e Peters suggeriscono non l’S&P 500, ma i titoli non tecnologici a bassa capitalizzazione.
Leuthold calcola che considerando i maggiori 3000 titoli invece dei 30 componenti del Dow Industrial o i 500 dell’S&P 500, il rapporto p/e scende a 16.
Peters pensa che gli analisti di bond diano un’idea migliore sulle societa’ che non gli analisti azionari. Sottolinea come le societa’ maggiori si affidino alle obbligazioni aziendali e conclude che “i titoli a bassa capitalizzazione dovrebbero dare i risultati migliori”.