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BORSE: SEMPRE PIU’ SCETTICI GLI ADDETTI AI LAVORI

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*Michele Pezzinga e’ lo strategist di CentroSim. I suoi commenti non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.

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(WSI) – Mercati in affanno per colpa di Kerkorian e della sua offerta su GM? Così
paradossalmente sembrerebbe, a rileggere gli eventi degli ultimi giorni.
Più che le incertezze su economie ed utili, su cui peraltro noi
continuiamo ad insistere, pesano soprattutto i movimenti, veri o presunti,
degli hedge fund, costretti in alcuni casi ad alleggerire pesantemente le
posizioni, proprio in una fase in cui i riscatti cominciano a farsi
sentire.

E all’origine dei loro guai ci sarebbero soprattutto le vicende
di General Motors, che nelle scorse settimane avevano stimolato larghi
acquisti di bond, a prezzi ritenuti allettanti, a fronte di vendite allo
scoperto di azioni, sull’idea da un lato che l’ipotesi estrema del default
fosse improbabile, e dall’altro che comunque l’azienda avrebbe incontrato
ancora forti difficoltà operative, capaci di penalizzare ulteriormente le
sue quotazioni azionarie.

L’offerta a sorpresa di Kerkorian, con il titolo
volato del 18%, ha invece preso in contropiede lo scoperto, che subito
dopo essersi precipitosamente chiuso sulle azioni ha dovuto affrontare la
bomba del declassamento dei bond, un rovescio stavolta disastroso
soprattutto per le obbligazioni. Per alcuni chiacchierati hedge funds il
costo complessivo di questi movimenti è stato significativo, mentre sui
mercati ha pesato l’impatto del downgrading.

Gli effetti si sono fatti sentire
anche sui CDO
(collaterised debt obligations, i panieri di strumenti di credito,
impacchettati e venduti a tranches, che includevano in misura
significativa GM e Ford, e il cui rating è stato anch’esso messo in
discussione da parte di S&P) e sui credit-default swaps, che prezzano i
crescenti costi legati alla protezione dai rischi di credito.

Si tratta
però solo di elementi di malessere, visto che è difficile immaginare come
tutto ciò al momento possa mettere a rischio la stabilità del sistema (ben
altro accadrebbe nel caso di un default di GM, ma non è certo un evento
all’ordine del giorno: per ora le pur depresse quotazioni dei suoi bond lo
scontano con probabilità di gran lunga inferiori al 10%). In ogni caso,
l’effetto concreto è stato quello di provocare la solita, prevedibile
“fuga verso la qualità”, cioè verso i bond a più elevato rating, e tra
questi i governativi che fanno da benchmark (con nuovi minimi di
rendimento per il Bund decennale, stamani al 3,34%, mentre quello del
Treasury è tornato al 4,22%), e qualche malumore in più sui comparti high
yield e sulle Borse in generale, dove oggi gli hedge ricoprono un ruolo
operativo essenziale.

E a giudicare dai movimenti erratici di alcune
realtà nostrane particolarmente volatili, da Fiat a Fastweb o RCS,
passando persino per alcune utilities, anche qui da noi forse qualcuno è
in balìa degli eventi…

I pessimisti, prendendo spunto dal passato, vorrebbero mettere in conto
anche per questa fase di deciso rialzo dei tassi qualche episodio, più o
meno grave e/o isolato, di crisi finanziaria; stavolta gli indizi puntano
verso la vicenda GM ed suoi effetti collaterali, ma il rischio sussiste
anche altrove, visti i boom in atto su molte materie prime, le quotazioni
dell’energia o certi mercati immobiliari. Tuttavia, la stessa esperienza
storica mostra come l’evento venisse di solito superato con l’intervento
più espansivo delle Banche Centrali, a tutto vantaggio
dell’obbligazionario di più elevata qualità e, in seguito, anche
dell’azionario.

Quest’eventualità rappresenta pertanto un altro elemento a
favore di una conclusione ravvicinata della stretta monetaria USA, con
effetti ancor più favorevoli per l’obbligazionario. Sulle Borse è comunque
indubbio che si sia esaurita la spinta rialzista di inizio anno: da allora
a oggi Wall Street ha visto l’S&P 500 cedere quasi il 4%, con il Russell
2000, che riflette l’andamento delle mid cap, in caduta di quasi il 9%,
poco meno del Nasdaq Composite (-9,8%); la Borsa giapponese, pur con il
superato Nikkei, ha perso il 3% circa, quella di Shangai il 5,4% e solo il
DJ Stoxx 50 delle Borse europee ha messo a segno un decente +2,8%, media
tra il +4,7% del francese CAC 40 ed il -0,1% del DAX di Francoforte.

Da
noi, l’1% scarso di performance realizzato da fine 2004 riflette la
pesantezza dei telefonici, che come temevamo hanno perso appeal cedendo
oltre il 10% (cui si aggiunge l’effetto stacco dividendo, incapace
comunque finora di fornire l’auspicata protezione), e la stasi delle
utilities, che solo ora forse sta terminando, grazie all’impulso dei bassi
rendimenti obbligazionari e di trimestri che si presentano migliori del
difficile avvio di esercizio. Il +10% messo a segno dalle banche,
sull’onda delle vicende BNL e Antonveneta e del loro impatto sugli assetti
di controllo in particolare delle realtà minori, si confronta con il -4%
degli assicurativi, in frenata sui timori legati all’andamento del ramo
auto, sulla specifica vicenda RAS e ora del collocamento di Toro, e sulla
stanchezza del ramo vita, dove le attese per gli effetti della riforma
previdenziale si stanno ancora una volta smorzando.

Un segnale positivo
dall’auto è giunto comunque ieri dalla trimestrale di Milano, che ha
evidenziato, pur a fronte di una lieve contrazione dei premi danni, un
combined ratio addirittura a quota 89,6%, a fronte del 93,4% del 1°
trimestre 2004, con un utile netto che sarebbe addirittura apparso in
forte crescita se non fosse stato per il minor beneficio derivante dal
realizzo di obbligazioni in portafoglio. In ogni caso, è ormai consenso
che le Borse stiano attraversando, al meglio, una fase di congestione; non
è però detto, come vuole lo stesso consenso, che per fine anno se ne sia
usciti con un altro discreto movimento al rialzo. I dubbi a questo
proposito stanno aumentando, anche tra i maggiori broker internazionali.

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