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BORSE A RISCHIO CORREZIONE, TROPPE INCOGNITE

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(WSI) – Sono passati quasi tre anni da quando i mercati azionari occidentali hanno ripreso a rafforzarsi dopo i disastri del periodo marzo 2000marzo 2003. Il rialzo dei prezzi è stato diffuso e potente e ha scavalcato i livelli che erano stati indicati come il massimo del possibile ritracciamento. Il fenomeno si è diffuso alle borse dei paesi emergenti, sia asiatici, sia latinoamericani (con pochissime eccezioni), sia dell’Europa orientale. Il Giappone, che aveva registrato uno spettacolare ribasso durato quasi 15 anni da 39000 dell’indice Nikkei a 7000, ha registrato un rialzo notevole fino a 16500 punti. Le economie dei paesi industrializzati crescono a buoni ritmi e perfino in Europa la lunga stagnazione sembra alle spalle.

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L’inflazione, nonostante il rialzo del prezzo del petrolio, non ha sollevato la testa, anche perché continuano ad essere presenti spinte deflazionistiche provenienti dai bassi prezzi praticati sulle merci di origine asiatica. I tassi di interesse a breve negli Stati Uniti sono saliti dall’1% al 4,25%, ma in queste condizioni non potranno salire ancora molto. Quelli, sempre a breve, in Europa non destano preoccupazioni anche dopo il recente rialzo di 0,25% deciso dalla BCE. I tassi a lungo termine sono rimasti assai stabili e non sono suscettibili di aumenti, se non limitati.

In queste condizioni, che il Financial Times ha definito non perfette ma molto vicine alla perfezione, è veramente difficile fare la previsione di un ribasso dei prezzi in borsa nel 2006. Eppure io penso che un ribasso ci sarà, e molto presto, sul mercato azionario di New York, il mercato principe delle borse occidentali. Si consideri, infatti, che il valore delle azioni, come nessuno contesta, non è null’altro che il valore attuale della serie dei profitti futuri.

Questo valore, sia che venga riferito ad un singolo titolo, sia che venga rapportato al mercato nel suo complesso, aumenta quindi se aumentano i profitti. I quali possono crescere solo per effetto di due forze: 1)l’aumento delle vendite; 2)l’aumento dei margini. Con riferimento al volume delle vendite è noto che, per effetto della competizione internazionale, i salari aumentano in Cina, India, eccetera, ma hanno la tendenza a vedere ridotto il loro potere d’acquisto in America o in altri Paesi ricchi. Inoltre, le famiglie americane sono molto indebitate e devono servire, per capitali e interessi, i debiti accumulati in passato.

L’aumento del prezzo degli immobili ha consentito al consumatore di indebitarsi ancora negli ultimi anni contro la garanzia delle case e di continuare a spendere. Ma nuovi rialzi dei prezzi delle abitazioni sono improbabili e si diffondono i sintomi di flessione dei medesimi.
I fatturati delle imprese potrebbero crescere ancora se aumentassero le esportazioni più delle importazioni, ma la competizione internazionale è troppo accanita perché ciò avvenga: vi è anzi il pericolo che accada il contrario, come testimoniato dall’andamento sempre peggiore della bilancia dei pagamenti correnti degli Stati Uniti.

Per accrescere i margini ci sono solo due modi: aumentare i prezzi o ridurre i costi. Ma aumentare i prezzi non è possibile a causa della competizione con Paesi come Cina, India e quelli del Sudest asiatico in generale. Si dovrebbe ricorrere al taglio dei costi. Senonché questo può essere fatto con riferimento a singole società, ma se si considerano le imprese nel loro complesso ci si rende conto che i costi dell’una sono i ricavi dell’altra. Ad esempio, se una licenzia una parte del personale, i dipendenti licenziati ridurranno il livello dei consumi e, a poco a poco, o bruscamente, i fatturati si contrarranno. Oltre che in relazione all’aumento dei profitti, che purtroppo non è ipotizzabile per il 2006, i prezzi di borsa potrebbero salire se aumentasse il price/earnings, cioè il rapporto prezzi/utili. Tale rapporto misura il numero di anni necessari all’investitore per recuperare il valore del suo investimento ed è anche un’espressione del grado di ottimismo (quando è elevato) o di pessimismo (quando è basso) esistente sul mercato. Con riferimento sempre alla borsa americana, gli operatori sono molto ottimisti.

In base ad una rassegna effettuata dal Russell Investment Group oltre l’80% dei gestori patrimoniali negli Stati Uniti si aspetta un rialzo dei prezzi delle azioni nel 2006. Secondo un’indagine dell’Investors Intelligence l’ottimismo dei gestori non è mai stato così accentuato come ora, nemmeno nel periodo della grande bolla speculativa 1995/2000. Concludendo, quindi, si può affermare che è estremamente difficile che da qui in avanti aumentino le quantità vendute ed è quasi impossibile che i margini si allarghino. I profitti sono elevati, ma è anche vero che hanno goduto di una situazione molto favorevole: tassi di interesse reali negativi fino a pochi mesi fa, prezzi delle abitazioni che hanno favorito i consumi e almeno 700 miliardi di dollari di stimoli dati negli ultimi anni da una spesa pubblica addizionale che in poco tempo ha portato il budget federale da un surplus consistente ad un deficit molto preoccupante. I profitti delle imprese sono certamente a livelli altissimi, ma non c’è ragione di prevedere che saliranno ancora.

Per quanto riguarda il moltiplicatore prezzi/utili in queste condizioni di rampante ottimismo è quasi impossibile pensare che esso possa crescere ulteriormente rispetto al livello attuale di 18. Per queste ragioni, tenuto conto che il mercato azionario è un discounting process, cioè anticipa il futuro, è estremamente probabile che davanti a noi, nel 2006 e nel 2007, non ci sia un rialzo dei prezzi delle azioni a Wall Street, ma un declino anche sensibile. Alla fine del 2002 e fino a marzo del 2003 vi era molto pessimismo, ora l’ottimismo regna sovrano. Era forse il caso di essere meno pessimisti allora e meno ottimisti ora: le prospettive dei profitti non sono buone e ben presto i prezzi delle azioni ne risentiranno negativamente.

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