*Cumberland Advisors. Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.
(WSI) – I risultati dell’ultima Taf, cioè
l’asta competitiva della Fed, sono
buoni. Si tratta della terza operazione
in assoluto, dopo le due di
dicembre. La banca centrale ha
messo all’asta20 miliardi di dollari
al tasso base di 2,88%: le offerte,
dopo che la Fed ha aumentato
la «posta» a 30 miliardi in prestiti
collaterali, hanno raggiunto il
3,95 per cento. A dicembre, i risultatio
delle prime due aste erano
state 4,65-4,67 per cento. I tassi
reali, insomma, stanno scendendo
così come vuole la Fed.
È ovvio, a
questo punto, che a fine mese verrà
ritoccato al ribasso il tasso ufficiale
di sconto, oggi al 4,74% mentre
i mercati già scontano il taglio
di mezzo punto del Fed fund, oggi
al 4,25. Condivido questa previsione.
Sono inoltre convinto che la
prossima Taf, il 28 gennaio, avrà
un grande successo. Se venissi
smentito, allora cambieranno pure
le decisioni della Fed.
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Non avranno alcun peso, invece,
i dati sull’inflazione o i risultati
aziendali. La novità è che, finalmente,
la politica della Fed funziona.
Lo dimostra l’andamento del
tasso Libor, oggi sotto il 4%, coerente
con la prospettiva dei Fed
fund al 3,75 e ad un esito della Taf
sotto il 4.
Per la prima volta, insomma, vediamo
che la politica delle banche
centrali funziona. Certo, sarebbe
stato meglio se la Fed avesse dedicato
la necessaria attenzione alla
curva già dall’estate in poi. Certo,
sarebbe stata meglio una politica
della comunicazione più convincente.
Certo, la banca ha dato la
sensazione di subìre gli eventi. Ma è anche vero che adesso la
Fed Fed sta restituendo la fiducia
ai mercati. Inoltre, la Banca
centrale ha ormai capito che
non ha senso affrontare i nodi
di fondo (crescita contro inflazione,
stretta sulla speculazione,
nuove regole sui mutui,
ecc…) se prima non si affrontano
le disfunzioni operative.
E così, mentre il mercato azionario
si concentra sui dati delle
corporations nell’ultimo trimestre,
«drogati» dalla crisi del credito,
quelli obbligazionari si
stanno finalmente convincendo
che gli Stati Uniti non sono alla
frutta. Regna ancora, negli States
ma soprattutto all’estero, la
paura che porta al paradosso di
T-bond e dollaro in caduta gemella.
Ma non durerà a lungo.
Per questo mi aspetto che la ripresa
ripartirà dalla discesa dei
tassi dei bond.
E le azioni? Il mio amico Vince
Farrell mi ha detto che, secondo
un suo amico, vale la pena
di entrare sul mercato quando
la sola idea ti fa star male.
Sono d’accordo: in questi mesi i
mercati sono stati così brutti e
spaventosi da far star male gli
investitori. Un mio cliente, di
fronte a questi miei pensieri, mi
ha chiesto se io abbia uno stomaco
di ferro. È proprio così.
Ne ho viste tante in 38 anni sul
mercato. La prima volta che mi
ha graffiato l’Orso correva il
1973-74. E il Dow era a quota
600. Dico 600, non 6.000. Allora,
a novembre, io e il mio socio
Shep Goldberg abbiamo deciso
di comprare: i prezzi erano
stracciati, ma tutti vendevano.
Andò così per tre mesi, per la
nostra disperazione: i clienti se
ne andavano, altri ci facevano
piazzate terribili. È lì che ho scoperto
di avere un stomaco d’acciaio.
A febbraio del 1975 decollò
il mercato Toro: e la mia vita
cambiò. Oggi come allora, la
gente ha paura. Se guardo i
miei clienti, i venditori battono i
compratori dieci a uno. È un magnifico
segnale di ipervenduto.
Sì, caro Vince Farrell, ho proprio
uno stomaco di ferro. Consiglio
ai miei clienti di dare uno
sguardo al passato e di non spaventarsi.
Ma so che qualcuno si
spaventerà lo stesso. E tra un
po’ se ne pentirà.
Intanto, mi verso un po’ di Tabasco
sulle uova sode per mettere
alla prova il mio stomaco di
ferro. Sì, funziona ancora a dovere.
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