Milano – Il successo dà alla testa. Se il successo è dovuto almeno in parte all’uso di sostanze psicotrope dà alla testa ancora di più. Sei mesi di rialzi di borsa, dall’inizio di ottobre alla fine di marzo, sarebbero bastati da soli a ingenerare un certo senso di onnipotenza e la hybris di prepararsi a sfidare i massimi storici dell’ottobre 2007 (SP 500 a 1565). Se poi si considerano le continue e sempre più massicce iniezioni di liquidità e anabolizzanti praticate dalle banche centrali, si capisce come nei mercati si sia a un certo punto diffusa l’idea di avere finalmente superato una volta per tutte il trauma della crisi europea e di essere ormai vicini alla Canaan della normalità.
Di fronte a mercati ebbri e sovraeccitati, con dati sull’occupazione e sulla crescita americana parecchio positivi e con lo spettacolare restringimento dello spread italiano nelle settimane precedenti è comprensibile, più che comprensibile, che il Fomc di tre settimane fa (come veniamo a sapere dai verbali appena pubblicati) abbia lasciato nel vago l’ipotesi di una nuova ennesima operazione di quantitative easing da luglio in avanti. Ricordiamo che è tuttora in corso l’operazione Twist.
Le banche centrali, in questi anni, a furia di Tarp, Qe, Ltro e Smp sono venute assomigliando ai Msic, Medically Supervised Injection Center, quelle strutture pubbliche che da vent’anni distribuiscono eroina controllata e aghi sterili in alcuni paesi del nord Europa e in Spagna. Non si può biasimarle se ogni tanto, quando possono, cercano di ricomporsi e ridarsi un tono.
Anche la Bce di Draghi, di tanto in tanto, deve rendere omaggio ai padroni di casa in Germania. Nei sondaggi i giovani tedeschi indicano l’inflazione come loro preoccupazione principale per il futuro (beati loro) e nella conferenza stampa è solo di inflazione che parlano i giornalisti tedeschi che interrogano Draghi. E’ vero, in Germania sono saliti i prezzi delle case (era stato l’unico paese in cui non si erano mossi negli anni della bolla), ma l’inflazione al consumo è perfettamente sotto controllo. I tedeschi sono però molto agitati perché sentono dire in giro che dovrebbero cercare di produrla, un’inflazione più alta, in modo da fare media con quella dei poveri mediterranei che, se non ci fossero la benzina e l’Iva, sarebbe troppo bassa. Draghi deve quindi rassicurarli, evitando anche di parlare di Ltro3 quando il trilione dei primi due deve ancora essere digerito dalle banche europee.
Tanto basta però ai mercati per sentirsi mancare il terreno sotto i piedi. Pur avendo le tasche, i cassetti e tutte le intercapedini di casa pieni di polveri e cristalli, tremano all’idea che pusher e dealer possano prendersi una breve vacanza. Se a questo si aggiunge l’improvvisa consapevolezza del fatto che la crisi europea, al contrario di quello che ci si era messi a pensare, non è per nulla terminata e se, aiuto, i portafogli appaiono troppo carichi di azioni e Btp acquistati nelle ultime settimane, ecco che il reflusso acido della dissoluzione dell’euro e della crisi bancaria riappare in gola.
Nelle ultime tre settimane avevamo provato a ricordarli, questi elementi negativi, e ad agitarli davanti agli ardori rialzisti. La Spagna, la Grecia, il Portogallo, il referendum irlandese, la crescita zero europea, la crescita bassa cinese, le sorprese positive americane che dopo qualche tempo non sono più sorprese (anche se i dati restano positivi), il petrolio troppo caro, la geopolitica, il rialzo azionario ormai ridotto a un titolo solo, la Apple trilionaria.
Adesso tocca fare il contrario, tocca mettere sul tavolo gli elementi positivi. Il più grosso di tutti, la crescita americana, non è da mettere in discussione, c’è ed è lì per restare almeno fino all’estate. L’occupazione è un indicatore ritardato, ma intanto cresce. Gli indicatori di sentiment sono il leggera decelerazione, ma denotano una produzione industriale ancora vivace e forte di forza propria, non di scorte da ricostituire.
Poi c’è il petrolio che scende. Sul momento deprime i titoli dell’energia e pesa sugli indici, ma per l’economia americana (e ancora di più per quella europea) è un fatto positivo. Sappiamo che si tratta di una discesa politica. L’Arabia Saudita e le monarchie sunnite del Golfo stanno inondando gli Stati Uniti di petrolio. Per farlo, probabilmente, non stanno solo aumentando la loro produzione ma attingono anche alle loro riserve. Cercano di compensare la diminuita produzione iraniana, penalizzata dalle sanzioni. Nei prossimi mesi il mercato sarà ancora più politico e quindi controllato. Si avvicinano le presidenziali americane e Obama ha assoluto bisogno di una benzina non troppo cara.
La Spagna, dal canto suo, è un problema quasi intrattabile, ma proprio l’estrema difficoltà rende tutti prudenti nell’affrontarlo. A un paese avviato ad avere a fine anno il 28 per cento di disoccupati, con il prezzo delle case destinato a scendere per anni e i bilanci delle banche ancora bisognosi di forti iniezioni di denaro pubblico, nessuno osa chiedere troppo. Il malumore europeo, al momento, non è per la dimensione della manovra di Rajoy ma per la sua qualità. Ci sono molte una tantum e gli elementi strutturali sono considerati insufficienti.
Per questi aspetti la Spagna ricorda l’Italia dell’estate scorsa, direzione giusta ma passo incerto. La Germania e i mercati da essa aizzati non ebbero pietà di noi nella consapevolezza che l’Italia aveva le risorse per fare di più. Con la Spagna la Germania usa una mano molto leggera e i mercati verranno semmai invitati a stare calmi.
La grande fragilità strutturale dell’Europa è, per i mercati, la migliore garanzia che la distribuzione su larga scala di liquidità da parte delle banche centrali non verrà interrotta né quest’anno né, probabilmente, il prossimo. Sotto le borse e le economie continuerà a rimanere tesa una rete di sicurezza che non avrà buchi, dal momento che tutti i paesi sviluppati, senza eccezione, contribuiranno a mantenerla costantemente in funzione.
Nelle prossime settimane l’Europa sarà al centro del flusso di notizie e questo impedirà una ripresa del rialzo. L’euro rimarrà sotto pressione. La forza dell’economia americana limiterà però il downside risk.
Le Dodici Tribù rimasero 40 anni accampate sulle alture desertiche della riva orientale del Giordano. Al di là del fiume, vicinissima e ben visibile, si stendeva la Terra Promessa, ma fu solo con Giosuè che riuscirono finalmente a raggiungerla.
La terra promessa della normalità economica e monetaria è sembrata molto vicina nelle settimane scorse e resta ancora oggi visibile, ma occorrerà ancora molto tempo prima di potere passare il fiume.