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(WSI) – Giovedì, quando Wall Street perdeva oltre il 4%, Warren Buffett stava comprando azioni. Ma nel tardo pomeriggio, quando l’S&P era tornato in pareggio e si avviava a chiudere in rialzo, l’oracolo di Omaha aveva già rinunciato ad acquistare. Perché mai, si sono domandati gli operatori, Buffett s’era fermato, se ha una visione di lungo periodo per i suoi investimenti? S’è saputo solo che l'”oracolo” non stava comprando per Berkshire, quanto per sè stesso e, forse, più che i panni dell’investitore, aveva assunto quelli del trader.
L’aneddoto non è così insignificante sapendo quanta attenzione ripongono i piccoli e grandi investitori sulle operazioni di Buffett. Insomma, si tratta di capire se questo è il momento giusto per entrare in Borsa o è meglio pazientare ancora. In altre parole: hanno gli indici toccato il fondo venerdì 10 ottobre, dopo aver perso il 43% l’S&P e il 49% lo Stoxx dai massimi dello scorso anno?
Qualcosa è cambiato
In settimana i mercati sono risaliti, ma grazie al rimbalzo dei primi due giorni originato dagli acquisti di chi aveva chiuso le posizioni al ribasso. Mercoledì e giovedì sono ritornati a scendere ed è difficile capire quanto abbia pesato la crisi del credito e quanto la consapevolezza della recessione. In ogni caso qualcosa di profondamente diverso è avvenuto: perché con i piani di intervento orchestrati dai principali Paesi per salvare le banche e assicurare loro la necessaria liquidità, la crisi del credito ha cambiato faccia.
È finita in secondo piano la paura di un crollo del sistema finanziario, ma sono riemerse le conseguenze di una bolla del credito che si sgonfia per la forzata restituzione dei debiti. Allo stesso tempo, smorzatasi la paura di una catastrofe come dopo il 1929, si è ritornati a considerare con maggiore razionalità le conseguenze di una recessione che, più che inevitabile, appare certa e presente.
Sul mercato del credito le cose sembrano migliorare, ma assai lentamente. Se è mutata la psicologia degli operatori, resta la tensione sui tassi d’interesse, come dimostra l’Euribor (a tre mesi) sceso dal 5,38% al 5,02% di ieri e il Libor Usa limato di 40 punti al 4,42%: in ogni caso restando entrambi ben più elevati dei tassi ufficiali della Bce e della Fed. Sono calati anche i tassi delle commercial paper e s’è notato un piccolo risveglio nell’emissione dei bond societari. Se davvero non si può dire che funzioni il mercato interbancario, c’è tuttavia l’attenuante che le banche riescono ad approvigionarsi di denaro a breve grazie alla disponibilità degli istituti centrali.
Vendite forzate
Le nuove conseguenze della crisi sono invece evidenti nei flussi di vendite, in gran parte forzati. È la conseguenza del debito che si sgonfia a ritmi sempre più rapidi. E siccome le banche devono ridurre il proprio e ridurre i rischi, pretendono adesso la restituzione dei prestiti concessi agli investitori: in particolare agli hedge fund, già gravati dalla pressione dei riscatti e costretti parecchi a chiudere i battenti. E siccome le azioni e le materie prime sono le poche attività rimaste liquide, le vendite s’abbattono impietose sulle Borse e sui future delle commodity.
Se si considera che il sistema degli hedge fund gestisce un patrimonio di circa 2mila miliardi di dollari e che nelle stime di molti investitori ci ritroveremo con il 25-30% di hedge fund in meno fra un anno, si intuisce come questo flusso di vendite sia destinato a durare. Basta guardare al rapido sgonfiarsi dei prezzi delle materie prime per immaginare che questo processo non dipende solo dalle peggiorate condizioni economiche mondiali. Le quotazioni del petrolio sono più che dimezzate rispetto a giugno, quelle del rame sono calate del 46%. E il costo dei noli marittimi è sceso dell’88%, a livelli che non si vedevano dalla recessione del 2001-02.
Siamo in recessione
È la recessione si dirà. Non c’è dubbio. E il peggio non s’è ancora visto a giudicare dai dati macroeconomici americani comunicati in settimana, quasi tutti disastrosi. Cosicchè gli economisti non hanno dubbi nel sostenere che gli Stati Uniti e l’Europa sono entrati in recessione in questo trimestre e buona parte sostiene addirittura nel terzo trimestre.
Ma questo ritornare dei mercati all’economia reale ha qualcosa di positivo, poiché le analisi e le previsioni ricominciano ad essere più razionali e più attendibili: quando quelle sulla crisi del credito erano spesso inaffidabili e suscettibili agli eccessi della paura. Certo, se si guarda al passato, l’inizio di una recessione coincide spesso con un minimo delle Borse. E se si dovesse ricalcare acriticamente i grafici storici, si sarebbe tentati di acquistare fin da ora. Ecco perché interessa tanto spiare le mosse di Warren Buffett.
Ma non è detto che l’oracolo possa avere sempre ragione. Lui stesso ha dichiarato ieri che è «duro» indovinare i tempi di un mercato. Ma ha anche lasciato intendere che i fondamentali dell’economia sono probabilmente migliori di quanto pensi la gente. Ma nessuna crisi è davvero uguale alle altre e l’intensità e la durata di questa recessione, la prima vera nell’era della globalizzazione, dipenderanno molto da quello che succederà nei Paesi emergenti e dalla condizioni nel mondo credito, squassato da eventi paragonabili solo a quelli degli anni 30.
In settimana l’S&P ha guadagnato il 4,92%, il Nasdaq il 3,85% e lo Stoxx il 4,5% (+4,8% Parigi, +5,2% Francoforte, +3,3% Londra, +6,6% Milano). Ma i mercati emergenti hanno perso il 3%.
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