*Questo documento e’ stato preparato da Alessandro Fugnoli, strategist di Abaxbank ed e’ rivolto esclusivamente ad investitori istituzionali ovvero ad operatori qualificati, così come definiti nell’art. 31 del Regolamento Consob n° 11522 del 1° luglio 1998 e successive modifiche ed integrazioni. Le analisi qui pubblicate non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.
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(WSI) – (…) La “recessione di crescita” e’ una fase in cui alcuni fattori ristagnano o flettono (ad esempio l’occupazione o gli investimenti) ma il Pil nel suo complesso continua a crescere. La peste bubbonica, negli Stati Uniti, è endemica in certe aree dell’Ovest, in particolare in Arizona e New Mexico. Si cura con gli antibiotici. La peste recessiva, dal canto suo, sta attaccando da due mesi California, Nevada, Florida, ovvero gli stati della bolla immobiliare, ma sta allargandosi ad altre zone, come l’Ohio, in cui i prezzi delle case non scendono per la semplice ragione che non sono mai saliti. Un quarto degli Stati Uniti è in recessione. Recessione, non recessione di crescita. Peste, non febbre pestilenziale.
Pur con questa macchia scura, tuttavia, gli Stati Uniti non entreranno in recessione in questo quarto trimestre, ma si manterranno tra lo zero e l’uno e, se va bene, anche qualcosa di più. Anche negli stati della macchia scura, inoltre, molti settori economici continuano a essere vitali. L’Europa, dal canto suo, è in rallentamento, ma ha ancora una velocità di crescita più che accettabile. Quanto all’Asia, la velocità scende, ma rimane elevatissima. Per completare la fotografia diamo un’occhiata al secondo cerchio concentrico della crisi, la finanza (il primo cerchio è naturalmente l’immobiliare).
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Qui la peste ha finora colpito in modo conclamato e forse fatale solo alcuni settori specifici, come le società che assicurano mutui o bond municipali (che hanno una capitalizzazione così sottile da potere in realtà coprire qualche piccolo default alla volta, non certo crisi di sistema). Sono invece in grado di salvarsi, al prezzo di consistenti e dolorose infusioni di nuovo capitale, molti soggetti paragovernativi o privati che sono in prima linea, in America e in Inghilterra, sul fronte dell’erogazione o dell’impacchettamento dei mutui.
Quanto al cuore del sistema, le grandi banche commerciali e d’investimento, la foto, per quanto molto mossa (gli aggiornamenti in negativo sono continui), mostra ammaccature di ogni tipo e talvolta fratture, ma i casi di prognosi riservata sono ancora molto pochi. I grandi sfracelli contabili annunciati nei giorni scorsi in prossimità dell’introduzione della Fas 157 (una norma che richiede di dichiarare con quale sistema si valutano gli asset in portafoglio) non si verificheranno (o per lo meno non si verificheranno per questo motivo) per la semplice ragione che le principali banche applicano volontariamente la Fas 157 già dall’inizio dell’anno.
Non è dunque la foto a preoccupare particolarmente, è semmai il film del 2008. I prezzi delle case continueranno a scendere di un altro 10-15 per cento. I default sui mutui aumenteranno e il loro valore di mercato scenderà ancora, obbligando le banche e gli altri soggetti creditori ad altre svalutazioni.
More of the same, si dirà, ci siamo già passati. Finché si tratta di giocarsi gli utili 2008 delle banche (nemmeno di tutte) pazienza, l’importante è che restino in piedi e siano pronte a rimettersi in carreggiata nel 2009. Il problema però non è solo delle banche, ma anche di sistema. Un paper di cui molto si è parlato in questi giorni (T. Adrian, H. Shin. Liquidity and Leverage, sul sito della Fed di New York) elabora un concetto facilmente intuibile. Chi non ha leva, il real money, assorbe le perdite e aspetta. Chi ha leva, come le banche o, ancora di più, i fondi hedge, riduce il suo attivo in tempo reale in modo proporzionale alla leva. Un dollaro di perdita di una banca la induce a ridurre di 10 dollari i suoi asset (se non è sovracapitalizzata).
Ma le banche, con il meccanismo della riserva, hanno una leva comunque fissa. I fondi hedge, per contro, allungano la leva quando le cose vanno bene e l’accorciano quando vanno male. Il risultato è che i 200 miliardi di buco dei subprime imputabili alle banche (su 400 totali secondo le ultime stime) diventano un multiplo di questa cifra in termini di credit crunch, ovvero di minore credito erogato al sistema. Fino a questo momento le stime ufficiali sul 2008 sono ancora positive. In America la Fed parla di una crescita dell’ 1.8-2.5% Il numero in sé, che ha dato tanto fastidio ai mercati, sarebbe ancora buono e ci sarebbe da metterci la firma, ma ci sono alcuni problemi.
Il primo è che non viene solo ridotta, rispetto alle stime precedenti, la velocità del 2008, ma viene abbassata la velocità massima, ovvero la crescita potenziale non inflazionistica. Il secondo è che la stima viene presentata con mille caveat, come a prenderne le distanze. Il terzo è che una banca centrale non farà mai una previsione di recessione (se la facesse tutti le chiederebbero perché non la previene) ma le recessioni ci sono lo stesso.
Quanto all’Europa, la previsione ufficiale è di crescita vicina al potenziale, ovvero il 2%, ma anche qui lo scenario di base è accompagnato da avvertimenti sempre più martellanti sui rischi verso il basso. Di fronte a un quadro ancora positivo ma sempre più fragile le banche centrali abbasseranno i tassi per tutto il 2008. Le eccezioni saranno il Giappone (che li ha già praticamente a zero) e, forse, l’Europa, che proverà a resistere.
C’è da dire che le banche centrali stanno evidenziando una condizione di nevrosi. Da una parte parlano con toni sempre più accesi dei pericoli d’inflazione e dall’altra abbassano i tassi o si preparano a farlo. Il loro problema è in parte culturale (non vogliono ripetere gli errori fatali commessi a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta) e dall’altra è oggettivo, perché petrolio e alimentari non mostrano segni di cedimento e alimentano l’inflazione headline. In pratica non funziona più (o non funziona ancora) quel meccanismo per cui, in passato, un rallentamento della crescita si accompagnava subito con un rallentamento dell’inflazione e dava così modo di agire sui tassi senza problemi. In fondo, però, è meglio così. Il petrolio non scende perché Cina e India continuano a domandarlo (in Europa e in America i consumi hanno smesso di crescere) ma finché questo succede vuole dire che le loro economie si mantengono in forte espansione e sostengono indirettamente anche le nostre.
Per chi investe uno scenario di crescente incertezza deve tradursi in crescente prudenza. Percorreremo il 2008 su ghiaccio sottile. Se non sopraverranno esogene sgradevoli il ghiaccio terrà, la crescita globale sarà moderata ma positiva e le borse si muoveranno grosso modo lateralmente. Andrà però incorporata nei prezzi la possibilità che i rischi si manifestino (uragani, Iran, eventi di credito). In pratica le borse avranno un tetto sopra di sé, cui corrisponderà un pavimento per i bond governativi.
La volatilità dell’azionario sarà ancora per qualche tempo verso il basso (con la parentesi ancora ben possibile di un rally di fine anno) ma nel corso del 2008 potranno aversi anche rialzi veloci, alimentati dal posizionamento sempre più leggero di molti portafogli. Periodicamente la crisi dei mutui apparirà finalmente sotto controllo e indurrà a coperture affannose. In generale il principio guida per il 2008 dovrà essere che guadagnare poco è meglio che perdere molto. Chi non abbasserà in tempo la sua leva si troverà a dovere vendere in perdita con mercati in discesa e ricoprirsi altrettanto in perdita con mercati in salita. Chi si accontenterà di andare in prima o in seconda avrà invece la possibilità di resistere nelle fasi di mercato avverse e potrà entrare o uscire in momenti favorevoli.
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