*Michele Pezzinga e’ lo strategist di CentroSim.
(WSI) – Non per voler andare a tutti i costi controcorrente, ma non ci sembra di
vedere grandi novità positive per gli scenari 2005, tali comunque da
giustificare la forza espressa dalle Borse in questa fase. E’ vero,
l’economia USA continua a crescere, ma a ritmi più blandi (l’ipotesi più
probabile per il 4° trimestre rimane un +3% circa, sostenuto da consumi
decenti, ma non brillanti come solitamente nell’ultima parte dell’anno, e
che comunque vanno a pesare sul crescente deficit commerciale con l’estero);
l’ipotesi di un trend simile, se non addirittura più fiacco (tra il +2,5 ed
il +3% per ciascuno dei trimestri del 2005), ci pare quella più
condivisibile, anche se non sembra pensarla così il consenso medio di
mercato, che punta su almeno un mezzo punto in più di crescita.
L’area euro
ristagna, nonostante il segnale incoraggiante giunto dall’indice IFO in
Germania, e difficilmente, soprattutto se il dollaro confermerà la sua
attuale debolezza, potrà dar luogo ad una crescita superiore all’1,6/1,7%.
Infine sul Giappone incombe, oltre che la frenata dell’export, anche una
manovra fiscale restrittiva che dovrebbe gradualmente ridurre l’ingente
disavanzo pubblico (il debito, incluso quello previdenziale, ha ormai
raggiunto quota 140% del PIL, portandosi su livelli “all’italiana”)
generatosi dopo la politica di aggressivi tagli alle imposte lanciata nel
1999. L’impatto sulle famiglie potrebbe essere pari a 26 mld di dollari nel
solo 2005, destinati a raddoppiare nel caso si proceda anche con un aumento
delle imposte sui consumi.
Forse tutto ciò non basterà a far deragliare la
ripresa del Paese, come è in parte già avvenuto nell’anno in corso, ma in
ogni caso frenerà i facili entusiasmi, mantenendo aperte le incognite legate
all’andamento del cambio con il dollaro e dei rapporti con il colosso
cinese. Su tutte queste aree incombe anche la questione greggio, che pur non
essendo destinata a modificare radicalmente gli scenari, contribuirà
comunque ad un graduale rallentamento della crescita: il suo impatto sulla
congiuntura, almeno in passato, si avvertiva con circa un anno di ritardo,
per cui il crescente andamento dei prezzi dell’energia nel corso del 2004,
fino al picco di ottobre, dovrebbe farsi sentire nel 2005 soprattutto nella
parte finale dell’anno.
Anche sui temi settoriali è difficile immaginare un 2005 all’altezza
dell’esercizio ormai in via di conclusione. Secondo le stime di Gartner, ad
esempio, la spesa mondiale nel settore dei semiconduttori calerà del 12,8%
nel 2005, dopo aver registrato un balzo di oltre il 55% nel 2004; e più in
generale, anche la crescita degli utili per le società dell’S&P 500
registrerà una prima significativa battuta d’arresto nel 1° trimestre 2005,
con una crescita al più nulla sul trimestre precedente, seppur pari ad un
comunque decente +8% circa su base annua.
Con questo non si vuole dire che
siamo in piena bolla speculativa; semplicemente, appare difficile
giustificare la prosecuzione del rally di fine anno oltre i suoi termini
naturali; e viste le numerose incognite che continuano ad incombere sul
quadro generale, bisognerebbe semmai rimettere in conto la possibilità di
qualche battuta a vuoto per le Borse nei primi mesi del 2005. Eppure, non
appena il meccanismo tassi-dollaro si rimette in moto, l’euforia
sull’azionario torna a riproporsi. I crescenti afflussi di capitale sui bond
europei e gli scenari di crescita piatta contribuiscono infatti al calo dei
loro rendimenti, con un effetto sostegno anche sui Treasuries, e di traino
per le Borse, che in tutta questa fase si sono mosse sempre più in parallelo
con l’obbligazionario.
I temi dominanti, a parte le storie più speculative,
sono infatti quelli legati al discorso rendimenti e premiano settori e
mercati ove quest’elemento pesa molto più della crescita. Sono proprio
queste caratteristiche, che una volta erano considerate dei significativi
limiti, e tali torneranno con la ripresa del ciclo, ad aver premiato la
Piazza di Milano rispetto alle altre europee, o le utilities rispetto agli
industriali. Nel frattempo, però, qualche indicazione di eccessiva euforia
inizia ad emergere anche negli USA: l’esposizione media sull’azionario degli
hedge funds ha da poco toccato un massimo storico, a quota 61,5%, mentre il
trading di proprietà delle banche sta tornando in auge, assorbendo quasi un
quarto degli scambi complessivi, contro un 5% all’inizio del 2000, e
qualcosa di simile sta coinvolgendo anche il trading on line, massima
espressione degli umori della piazza.
Di per sè, questo potrebbe non
significare nulla, se non che cavalcare il rialzo sia ormai diventato uno
sport di moda. La nostra impressione rimane comunque che la droga dei bassi
rendimenti stia falsando la percezione dei rischi azionari e la valutazione
delle diverse opportunità di investimento: due elementi da non dimenticare
anche da parte di chi vuole cavalcare fino all’ultima onda.
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