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BORSA: ATTENTI AL TARGET

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(WSI) – Novembre 2008: Rod Lache, un analista di
Deutsche Bank, azzera il target price su
General Motors. Ma come? Stiamo parlando
della stessa persona che dodici mesi fa
suggeriva di acquistare il titolo e indicava
in 51 dollari il prezzo obiettivo? Bell’affare:
a seguire il consiglio si sarebbe perso
tutto quanto investito. Certo, che l’analisi
fondamentale non fosse una scienza esatta
era noto. Ma che gli analisti fossero tanto
lenti a metabolizzare il credit crunch e
tutto il resto fa specie. A riprova il «mea
culpa» di Lache rimane un’eccezione: anche
al cospetto del peggiore Orso della storia
recente, il consensus di mercato, numeri
alla mano, rimane estremamente ottimista.

E Piazza Affari non fa eccezione. In
media, il prezzo obiettivo a dodici mesi sui
titoli dell’S&P/Mib è del 40% superiore agli
attuali valori di mercato, con un picco addirittura
del 124% (Tenaris). Si potrebbe
obiettare: si tratta pur sempre di un ottimismo
relativo a valutazioni depresse da mesi
di ribassi. Vero, ma un anno fa, quanto
gli indici erano vicini ai massimi storici, le
previsioni sprizzavano lo stesso entusiasmo.
Come dire: l’ottimismo è il sale dell’analisi.

COLPA DEL MODELLO. «I broker sono
spesso follower, non anticipatori, molto
concentrati sulle dinamiche societarie più
che sugli scenari macro» afferma Domenico
Paolini, a capo dell’ufficio advisory e risparmio
gestito in Cassa Lombarda. Vada,
ma fino a che punto? Il caso di Impregilo è
emblematico: sei mesi fa, il target price
medio – calcolato da Bloomberg sugli analisti
che seguono la società ed escludendo
i giudizi più vecchi di tre mesi – era pari a
5,30 euro (+25% rispetto alle quotazioni di
allora). Il rating poi era unanime: buy,
comprare. Oggi, incredibile a
dirsi, l’ottimismo è perfino
maggiore: il target price medio
è sì sceso del 28% a 3,8 euro,
ma molto meno velocemente
del titolo (-65%). Tant’è vero
che la forbice tra «sogni» e realtà
si è allargata al 90%. Il che
equivale a dire: entro 12 mesi
ci si aspetta che Impregilo raddoppi.
Va da sé che il consiglio
finale è buy, buy e ancora buy.

Eppure, viste le grane – parzialmente
rientrate – della società in Campania
e il contesto economico lontano anni
luce dalla scorsa primavera, a essere stati
realmente follower, altro che tagliare: le
stime avrebbero dovuto essere potate. Attenzione
però: i report nascondono spesso
molte curiosità. Capita di imbattersi in
target astronomici, con conseguente consiglio
di acquisto, ma poi all’ultima pagina
si scopre che le attese sui profitti futuri sono
tagliate. Com’è possibile?

La risposta è sempre la stessa:
«È il modello». Ok, ma si
tratta dello stesso modello
che consigliava di acquistare
Impregilo prima che perdesse
il 65 per cento. Perché allora
continuare a fabbricare
considerazioni senza arte né
parte? «Il problema – ribatte
Paolini – non sta nei modelli
di analisi fondamentale quanto
nelle modalità di applicazione.
Inoltre la scarsa visibilità sui mesi
futuri coglie spesso di sorpresa le stesse
società».

Un problema che emerge anche
dagli uffici studi su cui si riflettono anche
problemi di rapporti, logiche commerciali
e strategie congiunte con la banca d’affari:
i famosi chinese wall che troppo spesso
sono muri di cartone. «E se non c’è visibilità
sul 2009 – aggiunge Alessandro Frigerio
di Rmj Sgr – figurarsi sui prossimi 10-15 anni,
l’arco di tempo in genere tenuto in considerazione
nei modelli di discount cash
flow».

NESSUN ORACOLO. Spezziamo una lancia
a favore degli analisti: la scarsa visibilità
sui profitti a venire è un dato di fatto: se
le società brancolano nel buio, figurarsi
gli altri. «Non riesco a capire – commenta Giacomo Chiorino, responsabile investimenti
di Alpi Fondi Sgr – come possa un
analista arrivare dove le stesse società non
riescono». Eppure, un po’ di buon senso
aiuterebbe. «In media – spiega Bruce Mee,
fondatore, insieme a Roberto Bogoni di Libra
Equity – in recessione gli utili calano in
media del 45%. Per ora, le società hanno
riportato cali solo del 15%». Dunque c’è
spazio per un ulteriore 30%. «Dal canto loro
– aggiunge Mee – gli analisti hanno incorporato
nelle stime una riduzione media dei
profitti del 25/30%. Il problema è che le società
hanno lanciato dei profit warning soprattutto
sul 2008, mentre sul 2009 c’è solo
incertezza. È probabile che per i primi due
trimestri del prossimo anno gli utili scendano
». Come dire: ci sono tutti gli argomenti
per predicare prudenza. Invece, il messaggio
implicito in target price medi a 17,42 euro
per Tenaris (+124% sulla quotazione), a
13,46 euro per Prysmian (+100%) e a 3,23
euro per Unicredit (+90%), sembrerebbe
essere più un’istigazione alla spregiudicatezza
(tabella in pagina).

ORECCHIE DA GESTORE. Non a caso,
chi non può permettersi di essere spregiudicato
perché i soldi
non sono i suoi,
cioè i gestori, non
vuole più sentir
parlare di rating e
target price. «Il target
non lo tengo
in considerazione
», spiega Chiorin.
Conferma Frigerio:
«Mi interessa
il confronto, approfondire
con
l’analista i punti di forza e di debolezza di
un’azienda su cui l’analista ha una esperienza
approfondita. È importante capire
come si evolverà il contesto di riferimento
e, in questo momento comprendere la
situazione finanziaria netta, capire la dinamica
del circolante, la scadenza dei finanziamenti.

Il prezzo però lo verifico io».
Bruce Mee è ancora più drastico: «Chi segue
i target price e i giudizi perde soldi.
Questo non vuol dire che non tenga in
considerazione l’opinione degli analisti.
Ma, una volta appurata la competenza della
persona, considero le sue riflessioni come uno dei diversi fattori che entrano
nel processo decisionale. Di sicuro in
quanto gestori di un hedge fund non
possiamo certo permetterci di dipendere
dalle opinioni degli altri». Insomma,
meglio lasciare da parte rating e target
price e selezionare le informazioni.

È
sulla stessa lunghezza d’onda anche
Gianmarco Mondani, responsabile investimenti
di Arkos Capital: «È stato statisticamente
dimostrato (grafico a
pag.13) che i titoli che subiscono revisioni
al rialzo delle stime tendono a performare
meglio di quelli che, al contrario,
hanno visto le loro stime riviste al
ribasso. Appurato questo, il punto è cercare
di capire su quali titoli arriveranno
le revisioni». Cioè capire su quali società
il consensus sbaglia e dovrà quindi ricredersi,
nel bene o nel male.

«Oggi –
precisa David Kotok, economista e fondatore
di Cumberland
Advisors
– vista l’alta
volatilità, per le
società è alto il
rischio di non incontrare
le attese.
Questo significa
che le sorprese,
negative
e positive, andranno
aumentando
». Lo stesso
Kotok è comunque scettico sul lavoro
degli analisti: «Tendono a essere bullish
perché hanno un pregiudizio, proprio
come le società per le quali lavorano.
Questo spiega la differenza tra le loro
conclusioni e quelle degli economisti
».

Va dritto al punto Beppe Scienza,
professore di matematica e autore de
«Il Risparmio Tradito»: «Non mi stupisce
che le valutazioni degli analisti finanziari
siano ottimistiche oltre il limite
della decenza. Si tratta infatti di soggetti
ingabbiati in un conflitto d’interessi insanabile
(vedere le ultime pagine di
ogni report per credere, ndr), lavorando
per società che prosperano sulla fiducia
nell’investimento azionario. Ma
anche in generale, seguendo imercati finanziari
dal 1976, ritengo prive di qualsiasi
affidabilità le previsioni sui corsi delle
azioni. Qualche singola persona può
essere pure perspicace, ma non esiste
né può esistere un metodo per prevedere
i prezzi futuri».

Una cosa è certa: gli
analisti di oggi non finiranno mai condannati
a vagare eternamente con la testa
ruotata sulle spalle come successe a
Tiresia e Anfiarao. Il contrappasso dantesco
colpì i due veggenti per la loro capacità
di predire sventure. Qui, l’unica
che ha previsto qualcosa è stata l’ormai
celebre Meredith Whitney di Sal. Oppenheim.
Che tutti gli altri tirino un sospiro
di sollievo: a parte lei, di veri profeti
di sventura nemmeno l’ombra.

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