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(WSI) – La Borsa sta tirando come un mulo ed è ai massimi da due anni a questa parte. L’economia reale è invece a terra e non passa giorno che non ci sia un bollettino di guerra.
A parte la Fiat, di cui è diventato quasi demodé parlare, c’è la crisi delle acciaierie di Terni, la vendita della Lucchini ad un gruppo estero, l’irrisolta crisi Alitalia, etc, etc, etc, ed ancora etcetera, perché non è nemmeno il caso di parlare dell’assai incerto equilibrio dei conti pubblici, ciò che costringerà, assai probabilmente, il Governo ad una nuova manovrina in corso d’anno, con tanti saluti ed ossequi alla diminuzione delle tasse.
Eppure, a fronte di una situazione dell’economia reale che è da “I quattro cavalieri dell’apocalisse”, la Borsa tira come, per l’appunto, un mulo.
La prima spiegazione di tanta effervescenza appartiene, per solidarietà col mulo, al regno animale. Quindi, parliamo dell’asino, o meglio, dell'”attacca l’asino al carro del padrone”, dove il padrone è Wall Street.
Il Dow Jones, nonostante il triplo deficit dell’economia USA (privato, del bilancio federale, della bilancia commerciale) è a quota 10.700 punti, un livello distante circa il 10% dai suoi massimi storici, quelli della bolla. E’ giustificato tale livello? Il Pil americano cresce, le aziende fanno utili, ma, c’è un ma grosso come una casa, anzi come un grattacielo.
L’occupazione stenta a crescere e il triplo deficit guida la politica del dollaro debole. Greenspan dirige una politica monetaria attenta ad assecondare il difficile riequilibrio di squlibri che potrebbero scoppiare con una forza deflagrante. Su tutto incombe il pericolo dello sboom della bolla sul mercato immobiliare.
Ma intanto, Wall strett va, e le borse europee seguono, e Piazza Affari segue ancora di più perché nel 2004 ha registrato la migliore performance tra quelle del vecchio continente.
Il perché è spiegabile con la debolezza della nostra economia reale. Nello standard&poor mib (in pratica il vecchio mib30 incrementato di 10 azioni) e nel mibtel, ogni azione ha una certa ponderazione, e ciò significa che diverso è l’effetto sull’ indice di Borsa se aumenta l’Eni o aumenta, ad esempio, Fastweb, Fiat o Finmeccanica.
E qui viene il punto: la forza della nostra Borsa dipende, come già detto, proprio dalla debolezza della nostra economia. Infatti, il peso maggiore negli indici è rappresentato da Eni, Enel, Tim e Telecom. Ora, Eni, che pesa circa il 10% nello Standard&poor mib, è ai massimi storici in virtù del rialzo del prezzo del petrolio e guida la carica di Borsa.
Le industrie, al contrario, sono quasi assenti, o hanno un peso quasi insignificante, e sono travolte, quanto ad incidenza sulle variazioni degli indici di Borsa, dalle società di cui sopra, nonché da banche e da assicurazioni. Quindi, le industrie vanno male, ma la loro influenza in una Borsa fatta di società di servizi, o quasi, è irrilevante.
Così si è creata questa discrasia tra un’economia reale rantolante ed una Borsa effervescente. Le ragioni di tale frattura, ovviamente, sono anche altre, prima fra tutte una certa preoccupazione nell’investire ancora sul mercato immobiliare, attesi i livelli a cui è giunto questo mercato.
Durerà questa discrasia? Sarà l’economia reale a migliorare e ad adeguarsi all’andamento della Borsa, o sarà la Borsa, alla fine, a seguire il precipizio dell’ economia reale?
Personalmente, nonostante alcuni temi interessanti come quello della possibile apertura delle banche italiane, Fazio battuto, al capitale estero, credo che in Borsa siamo alla vigilia di un grosso storno perché, alla fin fine, con l’economia reale bisogna fare i conti, e qui sono guai.
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