Respinge al mittente le accuse di cattiva gestione del settore della cultura e affronta anche la questione Pompei, vero “casus belli”, ma soprattutto addebita alla sinistra la responsabilità di aver dato il «colpo mortale alla cultura» portando durante i suoi governi «150 milioni di euro in meno». Si è difeso così il ministro dei Beni Culturali, Sandro Bondi, prima di incassare la fiducia alla Camera nel dibattito sulle mozioni presentate dall’opposizione nei suoi confronti che, secondo il coordinatore del Pdl, sono il segno di «un imbarbarimento della politica italiana». E a chi polemizza in aula, Bondi replica: «Se pensa che io sia attaccato alla poltrona si sbaglia».
Dopo la fiducia Bondi fa sapere ai suoi di essere soddisfatto, anche se c’è chi fa notare non abbia ancora escluso la possibilità di dimettersi tra qualche giorno. Sono da poco passate le 16 quando apre con un affondo il suo intervento: «È stata introdotta una prassi nuova nella politica del paese. D’ora in avanti in luogo del confronto democratico e politico, si potranno presentare mozioni di sfiducia individuali per attaccare e umiliare gli avversari politici». Dal ministro anche un attacco al terzo polo, che a suo parere è responsabile di «aver introdotto una variante. Se accetti le nostre proposte, allora ritiriamo la mozione; altrimenti pollice verso». E ha osservato: «La mia colpa sarebbe quella di essere stato remissivo se non accondiscendente nei confronti dei tagli alla cultura di Tremonti, non sarei riuscito, battendo i pugni sul tavolo, ad avere più soldi». Ma ha aggiunto Bondi «io non ho mai scaricato le responsabilità su Tremonti perchè sono una persona responsabile e conosco la situazione della finanza pubblica». E ha aggiunto: «Mi sono impegnato non solo a chiedere più fondi per la cultura, ma a fare le riforme, parola assente dal vostro vocabolario».
Poi l’attacco alla sinistra: «Spero che questo dibattito possa essere utile per parlare finalmente del ruolo della cultura nel nostro paese. Ma voi che avete presentato la mozione di sfiducia siete davvero interessati a discutere di cultura? O le vostre intenzioni sono altre?». «Probabilmente – ha sottolineato Bondi – forse volete tentare di dare l’ennesima spallata al governo in questa ansia che vi divora da tempo facendovi perdere il senso della politica ma questo cinismo della politica non porta da nessuna parte, è miope, lo ricordo soprattutto ai cattolici del Pd». E ha rilevato «la capacità che ha la sinistra di manipolare la verità è tale che sembra che prima del mio arrivo tutto andasse bene, tutto fosse perfetto». Bondi ha spiegato che quando era arrivato al ministero Pompei «era già in condizioni vergognose e nessuno di noi – ha detto rivolgendosi ai suoi predecessori, Rutelli, Melandri – non può sentirsi esentato da responsabilità, neanche chi vi parla». Questa è la dimostrazione, ha aggiunto, che «una delle più grandi realtà archeologiche del mondo non può essere gestita da una sovrintendenza» ma da «nuove figure professionali, da una nuova figura di gestione». «I problemi – ha puntualizzato Bondi – non si risolvono solo con i soldi ma sono necessarie riforme profonde» ha aggiunto sottolineando la necessità di riformare anche il ministero della Cultura. «Io ho una idea di ministero che deve contribuire a trovare soluzioni che siano dei punti di equilibrio tra la tutela del patrimonio e lo sviluppo economico del Paese» ha spiegato. Bondi ha precisato: «È verissimo che l’Italia spende meno degli altri paesi europei, e questo è uno scandalo. Ma è colpa mia, del governo, se l’Italia investe di meno nella cultura? No – ha risposto – è una responsabilità delle classi dirigenti del paese» che hanno sottovalutato le potenzialità del settore. Ma «è altrettanto vero – continua – che spendiamo male. E non siamo in grado di spendere le risorse che abbiamo».
«Dal 2002 ad oggi – ha ricordato Bondi – le giacenze di cassa di Pompei ammontavano a circa 50 milioni di euro. Tutti soldi da poter spendere». Ma il ministro ha rivendicato di aver comunque «sbloccato circa 113 progetti di grandi opere pubbliche». «Chi ha presentato la mozione nei miei confronti sono gli stessi che volevano sventrare il Pincio per costruire un parcheggio. Se l’avessimo presentato noi questo progetto saremmo stati accusati di voler distruggere Roma. Ma abbiate un pò di pudore», ha detto rivolgendosi alle opposizioni. E ha ricordato «tra il 1996 e il 2000 sono stati erogati fondi per il cinema per 266 milioni di euro a fronte di incassi per 43 milioni di euro». Bondi ha respinto anche le accuse di aver messo il cinema in ginocchio: «Nel 2010 sia gli spettatori che gli incassi sono aumentati di circa il 50%. Non mi pare si possa parlare di una situazione di crisi del settore». «È comunque un primo risultato». Bondi ha concluso l’intervento dicendo di aver rivendicato i meriti e ammesso i demeriti: «Vi chiedo soltanto di valutarli con obiettività senza animosità politica e di decidere di conseguenza».
In Aula è stata una giornata travagliata con cartelli anti-Bondi («Villaggio preistorico Nola») e le accuse da parte dell’Idv di «meritare metaforicamente un calcio nel sedere» e di essere «il peggior ministro della storia d’Italia» duramente contestate dalla maggioranza; poi un alterco tra il finiano Fabio Granata, difeso dal collega Nino Lo Presti, ed i deputati leghisti che rischia di far fermare la “chiama”. Governo e maggioranza presenti al gran completo per il dibattito e la votazione. Silvio Berlusconi, invece, resta in Aula solo per qualche minuto: il tempo di passare davanti al banco della presidenza e dire no alla sfiducia al suo ministro. Per il resto, tutto è andato abbastanza tranquillamente e secondo le previsioni: l’unico intervento più duro, censurato con due richiami all’ordine da Gianfranco Fini, è quello di Pierfelice Zazzera: «Il ministro Bondi meriterebbe metaforicamente un calcio nel sedere», dice il dipietrista concludendo un intervento farcito di parole poco eleganti («citazioni da intercettazioni telefoniche», spiega mentre è sommerso da fischi, insulti e proteste dai banchi del Pdl), sbotta: «Bondi è il peggior ministro della storia d’Italia. La gente non mangia di cultura, ma lui con la cultura ha dato da mangiare a parenti, amici e cricche varie».
Tutto sembra veramente finito, quando durante la “chiama” si sfiora la rissa. La presidenza chiama a votare Fabio Granata, che però si attarda. Il leghista Giampaolo Dozzo gli rivolge duri apprezzamenti e Granata lo manda a quel paese. A quel punto, dalle tribune si vedono intervenire i commessi per separare Granata, i leghisti e il finiano Nino Lo Presti. Lui – spiegherà poi – era intervenuto per difendere l’amico e collega corregionale. Lo Presti ha poi un altro alterco con il deputato leghista Stefano Allasia, che tocca al viso. A lui, sostiene, e non a Granata, avrebbe urlato «ti aspetto all’uscita». Mentre i commessi intervengono, il vicepresidente Maurizio Lupi fa appello alla calma, ma non sospende la seduta, contrariamente a quanto reclamavano dai banchi del Pd. Poco dopo, Lo Presti ed Allasia si sono «chiariti» con una chiacchierata. Dei fatti si occuperanno i questori.