Società

BOND, UN CASO
DI ESUBERANZA IRRAZIONALE?

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*Michele Pezzinga e’ lo strategist di CentroSim. I suoi commenti non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.

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(WSI) – Cosa ci sia di così strano nella continua ascesa dei bond è difficile dirlo. L’economia USA rallenta, quella europea non riesce nemmeno a ripartire – anzi, alcune realtà come la nostra sono finite addirittura in recessione e rischiano di restarvi per tutto l’anno.

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Sulla Cina torna d’attualità un colpo di freno voluto dalle Autorità di Governo, i prezzi del greggio e delle materie prime stanno raffreddandosi e l’inflazione, almeno secondo le più recenti indicazioni, sembra seguire a ruota.

Certo, le difficoltà del comparto high yield hanno favorito una corsa ai titoli di maggiore qualità, amplificandone l’appetito sul mercato; così come aiuta la fame, particolarmente acuta in questa fase demografica, di rendimenti a lunga scadenza da parte di compagnie assicurative e Fondi Pensione.

Quanto alle Banche Centrali asiatiche, gli ultimi dati almeno sui Treasuries le hanno escluse dall’elenco dei “colpevoli”, visto il ritorno a prevalenti flussi in vendita. Definire quindi l’andamento dei bond un classico esempio di “esuberanza irrazionale”, se non di mania speculativa, ci sembra un po’ eccessivo: è vero, i rendimenti reali sono molto bassi, ma anche i rischi di ripresa dell’inflazione sono minori che negli anni ’80 o ’90, a causa di eventi strutturali che a livello internazionale contribuiscono a tenere sotto pressione i prezzi, per lo meno nel comparto manifatturiero.

E intanto il rallentamento congiunturale incombe: con le manovre monetarie restrittive sempre più prossime all’esaurimento, e alcune Banche Centrali, come quella europea, che secondo l’Ocse farebbero bene a considerare ipotesi di taglio dei tassi, visto come si stanno mettendo le cose nell’area, non c’è da stupirsi troppo se le curve dei rendimenti si stiano sempre più appiattendo, con quelli a lunga che convergono gradualmente sulla parte breve.

La Fed non sembra però pensarla allo stesso modo, visto che dalle minute dell’ultimo incontro di politica monetaria, rese note ieri sera, i rischi di inflazione, oltre che quelli di un mercato immobiliare surriscaldato, sono stati sottolineati molto più del possibile rallentamento dell’economia, a conferma di una manovra sui tassi che a detta loro dovrebbe proseguire senza esitazioni.

Vedremo se sarà sempre così anche dopo l’incontro di fine giugno, che per alcuni potrebbe addirittura sancire la fine degli interventi, almeno per questa fase, se solo emergessero segnali più rassicuranti sui prossimi dati mensili di prezzi al consumo.

Più difficile da condividere è semmai un ottimismo ad oltranza sulle Borse: il che non significa intravedere catastrofi, semplicemente scenari che sotto il profilo della combinazione rischio/rendimento non sembrano offrire grandi opportunità per i mesi a venire, tutto qua.

Quello che poi stupisce è il totale scollamento tra economia e finanza che emerge dalle vicende della nostra Borsa. Le fiammate che coinvolgono quest’ultima, sostanzialmente collegate a tentativi di modifica di alcuni significativi assetti di controllo, poco o nulla hanno a che fare con il contesto congiunturale nel quale si collocano.

L’andamento delle variabili chiave del credito piuttosto che della raccolta pubblicitaria sono in questa fase l’ultimo elemento su cui si basa la guerra per il controllo di BNL o Antonveneta, da un lato, ed RCS (magari Mediobanca un domani…), dall’altro. Questo è dunque un ulteriore paradosso della nostra Borsa, che al contrario delle altre, nel resto d’Europa o persino a Wall Street, vede adesso trascurati i comparti difensivi, e invece relativamente premiati quelli, come il bancario (+10% da noi da inizio anno, contro un +3,5% nel resto d’Europa), che prima o poi dovranno fare i conti con gli effetti della recessione.

Basti pensare alle utilities, il cui indice è in rialzo di oltre il 7% da inizio anno in Europa e in calo di oltre il 5% qui da noi, sebbene proprio la congiuntura più sfavorevole giustificherebbe l’interesse sui comparti più difensivi. Chissà, forse qualcosa sta tornando a muoversi in questa direzione, vista la presenza odierna di Terna, Snam Rete Gas o Autostrade tra i migliori performer dell’S&P/Mib.

Da oggi torneremo ad avere qualche verifica concreta alle nostre ipotesi di scenario: dopo il deludente indice ZEW, che misura la fiducia degli economisti nelle prospettive congiunturali della Germania, caduto a quota 13,9, minimo degli ultimi sei mesi, stamani è già arrivata una conferma dall’indice IFO, con la fiducia delle imprese tedesche che, a causa della brusca discesa della componente aspettative, è calata in maggio a quota 92,9, da 93,3, nuovo minimo da quasi due anni a questa parte.

Nonostante il sorprendente +1% messo a segno dal PIL tedesco nel 1° trimestre 2005 rispetto al precedente, la situazione rimane quindi tutt’altro che promettente; tra l’altro quel risultato è sembrato dipendere in misura sostanziale dal solo miglioramento dell’avanzo commerciale con l’estero, trainato dal +2,9% per l’export a fronte di una contestuale caduta dell’1,4% per le importazioni, penalizzate dalla debolissima domanda interna. I consumi privati e pubblici sono infatti scesi entrambi dello 0,2%, mentre il recupero degli investimenti industriali (+0,9%) è stato più che annullato dalla frenata, sia pur stagionale, del settore costruzioni (-3,9%).

Quanto agli USA, nel pomeriggio (14:30) avremo il dato sugli ordini di beni durevoli di aprile, visto in recupero (+1,2%) dopo la caduta dei mesi precedenti (-2,8% in marzo). Bene invece ancora il comparto immobiliare, oggi alle prese con il dato di vendite di nuove case; quelli di abitazioni esistenti ieri sono balzate a sorpresa ad un nuovo massimo storico (7,18 mln di unità annualizzate, da 6,87 mln di marzo) a fronte però di un segnale allarmante sui loro prezzi medi, un balzo del 6,7% sul mese precedente che porta così ad un +15% l’incremento su base annua. E proprio il timore di una bolla sull’immobiliare potrebbe costringere la FED a proseguire nella stretta, anche a fronte di una crescita economica sempre più affannosa.

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