*Sara Silano è Caporedattore di Morningstar in Italia. Il contenuto di questo articolo esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.
(WSI) – Negli ultimi anni, i fondi obbligazionari Paesi emergenti hanno reso più dei governativi area euro (+18,4% nel triennio contro un + 10,7%). Ma nella prima parte del 2006, hanno perso in media il 4%, penalizzati dal rialzo dei tassi di interesse americani che ha reso meno attraenti i titoli del debito dei Paesi in via di sviluppo rispetto ai Treasury americani, considerati una classe di attivi priva di rischio. Da giugno, sono stati protagonisti di un mini-rally, che ha interessato l’intero mercato obbligazionario.
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Il differenziale (spread) tra i titoli emergenti e quelli statunitensi ha toccato il minimo all’inizio di maggio, con l’indice JP Morgan EMBI+ (Emerging market bond index plus) sceso a 174,5 punti base dai 239 di gennaio. Oltre alle decisioni di politica monetaria adottate dalla Federal Reserve, ha inciso sul comparto la solida crescita economica registrata dalle regioni in via di sviluppo, in particolare Asia e America Latina.
In questo contesto, per Gregorio Saichin, gestore del Pioneer Fund Emerging market bonds, le strategie tradizionali relazionate a un indice di riferimento non sono più sufficienti per generare buoni rendimenti e salvaguardare il capitale nelle fasi critiche. Il fund manager ha quindi introdotto una componente d’investimento a ritorno assoluto, accanto a quella benchmark-related, basata sulla ricerca di singoli titoli in grado di offrire extra-performance. Da gennaio, il comparto, che ha quattro stelle di Rating Morningstar, ha perso l’1,4% (al 5 settembre), facendo meglio dell’indice JP Morgan EMBI+ di 1,8 punti, mentre nel triennio ha reso il 7,6% annualizzato (+0,8 punti).
L’attenzione si è focalizzata sui crediti parastatali e le emissioni di società che hanno realizzato con successo processi di ristrutturazione in Paesi, come l’Argentina, che si sono risollevati dal default. La nuova strategia di gestione ammette l’utilizzo della leva valutaria (il 10% del portafoglio è investito in divise locali): la preferenza va agli Stati che hanno un forte surplus di partite correnti, tra cui il Brasile, perché le loro monete sono supportate dal fatto che essi finanziano il debito americano, europeo e giapponese con l’acquisto dei titoli governativi.
Per Saichin, il ribasso dei mercati obbligazionari emergenti nella prima parte del 2006 ha motivi tecnici, non fondamentali, in quanto il miglioramento delle economie in via di sviluppo “non è temporaneo”, ma “strutturale”. “Le fasi di correzione”, aggiunge, “possono creare opportunità d’investimento”.
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