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Bond e valute? Troppo speculati. Le azioni invece, come bene rifugio

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(WSI) – L’attacco al debito di mezza Europa cui assistiamo in questi giorni è certamente basato sull’individuazione di effettive debolezze dei paesi sotto scacco, ma si giova molto anche del tema dell’insostenibilità e della reversibilità dell’euro. Almeno questo elemento, tuttavia, andrebbe rimosso dalla discussione.

Quanto ai punti deboli dei singoli paesi, che non ha senso negare, Trichet aveva già osservato in maggio, ai tempi della crisi greca, che se i debiti nazionali venissero consolidati in un bilancio europeo apparirebbero sotto una luce completamente diversa. Il debito pubblico europeo, in altre parole, era in maggio ed è anche oggi più basso di quello americano e di quello giapponese.

I mercati soffrono però di una disfunzione cognitiva. Si sa dalla neurofisiologia che non sono le cose a entrare dentro di noi ma siamo invece noi a costruire le immagini, ad assemblare i pixel colorati sulla retina e a trasformarli in oggetti sulla base di concetti che abbiamo già in mente. Con l’America questo funziona perfettamente e la costruiamo come un intero. Quando guardiamo l’Europa, invece, costruiamo e vediamo le parti e non vediamo il tutto.

Certo, se si somma al debito pubblico l’intero passivo delle banche (nell’ipotesi che l’attivo non valga più niente) i problemi diventano esplosivi. Nel ragionamento, tuttavia, c’è una circolarità. Le banche, si dice, non valgono niente perché possiedono montagne di titoli di stato. I titoli di stato, a loro volta, non valgono niente perché gli stati devono garantire le banche e non hanno i soldi per farlo. In realtà, basta salvare le banche irlandesi per salvare i titoli di stato irlandesi, che a loro volta salvano le banche inglesi, tedesche e francesi che li hanno in portafoglio.

A proposito di Irlanda, Barry Eichengreen, uno dei pochi americani che simpatizzano per l’Europa, si è detto molto deluso dalla durezza delle condizioni del salvataggio. Il tasso alto richiesto all’Irlanda dai tedeschi gli fa venire in mente le riparazioni di guerra regolarmente esose che i vincitori usavano richiedere, suscitando il duraturo risentimento dei vinti.
Eichengreen ha ragione, ma non considera due cose.

La prima è che la Germania deve vendere alla sua opinione pubblica il salvataggio e deve presentarlo come un buon affare (ci indebiteremo al 3, dice la Merkel agli elettori, e presteremo agli irlandesi al 6). La seconda è che è normale, nei salvataggi lunghi, iniziare con condizioni dure e poi venire incontro al debitore, strada facendo, se questo ha mostrato buona volontà e qualche risultato. Chi fa i conti e dice che greci e irlandesi non ce la faranno mai non ha studiato i periodici riprofilamenti del debito (allungamento delle scadenze, riduzione dei tassi) che gli emergenti, quando erano poveri, hanno negoziato per decenni con il Fondo Monetario e con le banche creditrici. Ristrutturazioni, certo, ma il più delle volte senza coinvolgimento degli obbligazionisti e spesso molto moderate.

El Erian di Pimco, dal canto suo, sostiene che l’Europa è avviata all’implosione perché i suoi policy maker sono reattivi (mentre nella gestione
delle crisi bisogna essere proattivi), si muovono tardi solo per guadagnare tempo e non considerano che il tempo lavora contro di loro.

Sulla reattività ha ragione. La Germania del resto la teorizza. Faremo quello che occorre, dice da sempre, quando sarà il momento, non prima. Chi in queste ore fantastica di Quantitative Easing europeo, di massiccia ricapitalizzazione del fondo di salvataggio con l’aiuto del Fondo Monetario e di un’emissione massiccia di bond dell’Unione, ha ragione sugli strumenti potenti che l’Europa può ancora mettere in campo, ma rischia qualche delusione se pensa che siano tutti per l’immediato.

Quanto al tempo che lavora contro, non è detto. I paesi sotto attacco, sottoposti alla pressione della Germania e a quella dei mercati, hanno preso in questi mesi decisioni difficili e hanno conseguito risultati non disprezzabili. Certo, i baltici che si sono tagliati le retribuzioni di un quarto nel 2009 hanno fatto di più (e infatti sono già fuori dalla crisi), ma l’euro debole supplirà in parte alla lentezza delle svalutazioni interne (quelle effettuate, appunto, recuperando competitività tagliando il costo dei fattori, in pratica le retribuzioni).

Di fronte a un quadro così fluido i mercati sono comprensibilmente nervosi e volatili. Sui bond e sui cambi non ha molto senso assumere rischi ampi. Situazioni vissute come binarie, in sospensione tra la morte e la vita, danno luogo a reazioni estreme di sollievo e delusione. E’ facile, come risultato, rincorrere rialzi effimeri e spaventarsi di nuovo poco dopo, vendendo in perdita. Pasticciare e farsi male è in questi casi quasi la regola per chi non riesce a stare fuori dal mercato.

L’area in cui ha invece senso rischiare è l’azionario. Il solido rialzo in corso ha una motivazione classica offerta dai buoni dati macro in America e perfino nella martoriata Europa. C’è però anche una motivazione nuova, segno dei tempi, che è l’idea che l’equity costituisca ormai una sorta di bene rifugio. Le banche sono ovviamente escluse da questa rappresentazione, ma la loro capitalizzazione è così ridotta che il loro peso sugli indici e nei portafogli è non solo storicamente basso, ma anche in continua diminuzione.

Il quadro macro sorprendentemente positivo (in particolare in Germania e negli Stati Uniti, ma anche nella Cina che frena) sta venendo metabolizzato giorno dopo giorno dalle borse. Quello che ancora non è scontato è l’avvio di una discussione seria sul risanamento strutturale dei conti pubblici americani. Sono sul tavolo tre proposte di tre commissioni, 30 anni-uomo di lavoro, 250 pagine di buon senso bipartisan. Non si parlerà d’altro, negli Stati Uniti, fino alle elezioni del 2012 e anche oltre. Se alle parole dovesse seguire qualche fatto, l’effetto sarebbe molto positivo per l’economia globale, per il dollaro e per le borse.

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*Questo documento e’ stato preparato da Alessandro Fugnoli, strategist Kairos Partners SGR. ed e’ rivolto esclusivamente ad investitori istituzionali ovvero ad operatori qualificati, così come definiti nell’art. 31 del Regolamento Consob n° 11522 del 1° luglio 1998 e successive modifiche ed integrazioni. Le analisi qui pubblicate non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.