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(WSI) – È il bond Cerruti il nuovo incubo della Popolare di Intra. E non solo suo. La richiesta di danni per 300 milioni avanzata dalla curatela di Fin.part, comunicata dalla stessa banca in occasione dell’ultima assemblea e rivelata ieri da F&M, ha causato un crollo verticale del titolo in apertura (fin sotto i 12,8 euro).
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L’azione si è poi improvvisamente risollevata grazie al contributo di mani interessate (persino troppo), ma ha chiuso in negativo (-1,93%) per la quinta seduta consecutiva. Sulla banca pesa il taglio del rating a BB+/B (livello junk) da parte di S&P che ha preso atto dei pericoli in arrivo dalla bancarotta Fin.part. Sia chiaro, il giudizio di S&P non esprime rischi di fallimento imminente, sebbene Intra abbia oggi un patrimonio netto di 233 milioni, inferiore, dunque, ai 300 milioni di danni richiesti.
S&P non può però che considerare gli effetti negativi di procedimenti legali incerti e prolungati: a fine trimestre, peraltro, Intra denunciava un rapporto tra patrimonio netto e bilancio ponderato per il rischio superiore al 5% (oltre il minimo richiesto del 4%). Ma è la situazione legale ad avere preso una piega molto rischiosa: la curatela Fin.part e la Procura sono convinte del ruolo di socio occulto di controllo rivestito dalla Intra su Fin.part. E, a quanto si apprende, anche Giovanni Brumana, l’ex direttore generale, sarebbe pronto a sostenere tale tesi, almeno per il periodo successivo alla sua uscita (marzo 2003).
Quanto a Facchini, già nella memoria inviata in Procura lo scorso anno (pubblicata da B&F nel maggio 2005), sosteneva che Fin.part fosse «ostaggio» delle banche a partire dal 2001. Un anno chiave della vicenda perché in luglio Fin.part emise il bond da 200 milioni per pagare il restante 49% della Cerruti. Secondo quanto risulta a F&M, i 300 milioni chiesti a Intra comprenderebbero proprio i 200 milioni del bond, il cui mancato pagamento nel 2004 portò Fin.part al default.
Quell’obbligazione è uno dei capitoli più neri del crac. Non a caso la Procura ha rilevato come già i bilanci 2000 di Fin.part fossero gravemente alterati. E del resto lo stesso Facchini denuncia come «le banche suggerirono l’acquisizione del 49% di Cerruti» e premettero poi per portare il bond da 150 a 200 milioni con Abax Bank e Unicredit quali joint lead manager e altri sei istituti (tra cui Caboto e Profilo) come co-lead. Nella sua memoria, Facchini spiega che «gli esponenti di Abax e di Ubm dichiararono che le banche collocatrici avrebbero fatto da supporto a Fin.part in operazioni di finanza strutturata, sul capitale o sul rifinanziamento a lunga scadenza del medesimo bond». Salvo poi stringere i cordoni della borsa: i particolare, «contestualmente (all’emissione, ndr) Ubm si rimborsò, o meglio ci spinse a rimborsare il finanziamento aperto a scadenza fissa di 45 milioni. Non solo, ma oltre 20 milioni furono riassorbiti da Unicredit stesso».
Probabilmente è per questo che Facchini ha chiesto un centinaio di milioni di danni a Unicredit, oltre ai 150 chiesti a Intra. Che ora rischia di diventare il capro espiatorio e di dover pagare il conto Cerruti. O almeno una parte, nel caso, ancora possibile, si vada a una transazione col curatore (magari con la Intra in nuove mani). Il resto del conto Cerruti potrebbe andare a carico di chi ha poi collocato il bond ai risparmiatori, nonostante l’Offering circular dell’emissione Cerruti vietasse espressamente la sollecitazione del pubblico risparmio. Insomma, nella storia Fin.part restano altre pagine di mala finanza da sfogliare.
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