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BOLLA BUSH

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Tassi calanti e Borse in ripresa stanno tonificando l´economia americana e ridando smalto alla comunità finanziaria. Il mercato delle fusioni e acquisizioni si risveglia. Gli investitori che si erano rifugiati nei Treasury bond ricominciano a dare la caccia alle buone occasioni dei listini. Gli executive delle grandi società riaprono il capitolo degli investimenti futuri.

Dopo tante false partenze, è insomma arrivato il momento della svolta? Abbiamo raccolto il parere di Felix G. Rohatyn, che fa parte del consiglio d´amministrazione del Center for Strategic and International Studies, è analista del Council on Foreign Relations e dell´American Academy of Arts and Sciences.

Soprattutto, questo viennese nato nel 1928 è famoso per aver guidato la banca Lazard a New York tra gli anni Settanta e Ottanta e aver risanato, come amministratore delegato delle municipalizzate di New York, il bilancio della metropoli. L´ex presidente Bill Clinton lo inviò come ambasciatore a Parigi. Oggi dirige la Rohatyn Associates, con la quale continua a esercitare la sua consulenza in campo internazionale.

Alcuni economisti ritengono che la ripresa è dietro l´angolo. Lei cosa ne pensa: è tempo di stappare lo champagne?

“Starei attento a farmi prendere dall´entusiasmo. Ogni mese un nuovo oracolo ci dice che l´economia si sta riprendendo dal suo collasso, ma la previsione puntualmente non si realizza. È come se l´economia stesse girando in folle, e Wall Street rischia di fare il passo più lungo della gamba. Ma se si osservano i dati relativi alla disoccupazione, non sono per niente incoraggianti. È vero che si tende ad accreditare l´idea che la ripresa dell´occupazione saltuaria preannunci quella delle assunzioni stabili. Ma in questo caso, con una disoccupazione ai massimi degli ultimi nove anni (in alcune aree raggiunge il 7 per cento), ci vuole ben altro che qualche centinaio di migliaia di posti di lavoro a termine. Poi, questa ripresa degli investimenti io non l´ho ancora vista: se c´è, è abbastanza anemica. Tutto sommato resto del parere che l´economia è in un preoccupante stato di fluidità”.

Alcuni fenomeni in atto, come per esempio la decisione della Microsoft di porre fine alla pratica di distribuire stock option ai dirigenti o anche quello di rafforzare le regole di controllo per la compilazione dei bilanci, segnalano che il clima aziendale in America è cambiato. È un messaggio che il capitalismo americano è pronto a girare pagina: non crede che questo si rifletterà positivamente sull´andamento dell´economia?

“Si tratta certo di iniziative positive. Io ho sempre sostenuto che le aziende dovessero assegnare azioni agli impiegati piuttosto che stock option. Quanto alla questione della governance aziendale e della trasparenza dei conti, è bene che venga esaminata con maggiore attenzione, visto che esistono ancora problemi, basta guardare il crack delle assicurazioni HealthSouth in Alabama. L´emergenza non è finita. E come dimostra l´andamento del mercato, la gente è ancora preoccupata dagli abusi fatti compilando i bilanci. Ma non c´è solo il versante aziendale: lo stato di crisi degli enti locali, Stati e Comuni, è un altro fattore di indebolimento dell´economia. Il deficit degli enti locali quest´anno supererà i 100 miliardi di dollari. L´effetto di questo buco non si fa sentire solo sulle dinamiche economiche ma anche su quelle sociali”.

E questo non rischia di annullare i benefici potenziali del taglio delle tasse deciso da Bush?

“Sì. Prenda New York: sono stati appena approvati tre aumenti delle tasse e tagliato il finanziamento dell´assistenza pubblica. E la situazione di New York non è unica. La California ha un disavanzo di oltre trenta miliardi di dollari. Questo, checché se ne dica, è un forte fattore di rallentamento dell´economia”.

Ci sono però tipi d´investimento come quello degli hedge fund e delle obbligazioni a tasso fisso, come quelle del Tesoro e degli enti locali, che registrano una forte crescita. Presentano dei rischi? Dobbiamo aspettarci lo scoppio di qualche altra forma di bolla?

“Gli hedge fund vanno affrontati con cautela. Non solo per l´investitore singolo, che può guadagnare molto ma anche perdere tutto e facilmente, ma soprattutto per l´andamento dell´economia in generale. Il crollo di alcuni di questi fondi potrebbe, come è già accaduto in passato, mettere in difficoltà l´intera economia nazionale. Il mercato delle obbligazioni riflette invece la politica dei tassi di interesse della Fed. Se i tassi restano bassi i buoni del Tesoro si comportano bene. Se l´interesse sale, è ovvio che le obbligazioni ne soffrono. Per adesso la situazione sembra giocare a loro favore. Domani, chissà. La maggioranza degli economisti è così confusa che non sa se aspettarsi la crescita dell´inflazione o l´arrivo della deflazione. Siamo in presenza d´una situazione economica tra le più complesse della storia, almeno di quella che ho vissuto io”.

Non crede che il governo dovrebbe prendere il timone dell´economia e dirigerla verso la ripresa con una politica di investimenti pubblici? L´amministrazione Bush preferisce invece adottare misure economiche che dirottano i fondi pubblici nelle mani della grande industria privata. È una strategia che paga?

“Questa amministrazione non fa nessun mistero di credere che la via della ripresa passa esclusivamente attraverso riduzioni fiscali che avvantaggiano solo i più ricchi del paese. Che si tratti di riduzioni del carico fiscale sui redditi o di eliminazione delle tasse sui dividendi, o di eliminare la tassa di successione sulle eredità, la ricetta è sempre la stessa: prendere il denaro pubblico e metterlo nelle tasche dei più ricchi. Personalmente non credo che si tratti di una strategia che pagherà e fino a ora i risultati sono stati molto deboli. Il governo federale farebbe meglio ad aiutare gli enti locali a risolvere i loro problemi economici lanciando casomai anche programmi di investimento pubblico per la creazione di nuove infrastrutture e partnership con le aziende private”.

Dobbiamo allora desumere che lei è contrario all´idea di investire i fondi della previdenza sociale nel mercato azionario, come vuole invece fare Bush, e all´ipotesi di costringere i programmi pubblici d´assistenza medica a competere con le assicurazioni private?

“Non c´è alcun dubbio che il settore privato debba predominare nell´economia, ma questo non significa che deve diventare l´unico settore sovvenzionato dall´investimento governativo. La nostra economia sta diventando pericolosamente squilibrata e il governo sta assumendo un rischio enorme sul nostro bilancio perché può creare in prospettiva un aumento dell´inflazione che sarà difficile gestire. E che può ripercuotersi negativamente anche sulla libertà degli scambi”.

In che senso?

“Si parla sempre più spesso di deflazione, negli Stati Uniti e in Europa. Se questa è la strada su cui si avvia l´economia, bisogna domandarsi come reagiranno i vari governi alla crescente quantità di prodotti cinesi e indiani che si riversano sul nostro mercato e su quello europeo. Dal momento che la disoccupazione continua a crescere, la questione aperta dall´arrivo di prodotti da questi paesi diventa più pressante”.

Intende dire che qualcuno invocherà presto politiche protezioniste?

“Intendo dire che diventerà una questione politica alle prossime presidenziali. L´altro giorno la Walmart ha realizzato una svendita di apparecchi televisivi: in un giorno solo ha venduto un miliardo di dollari di televisori cinesi. I costruttori statunitensi ovviamente sono andati su tutte le furie, si domandano come sia possibile che si perdano tanti posti di lavoro in favore dei cinesi”.

Ma non è questo lo spirito della libera impresa capitalistica?

“C´è concorrenza e concorrenza. Nel caso cinese bisogna prendere in esame la politica monetaria di quel paese. Mantenere lo yuan forzatamente basso rispetto al dollaro è nei fatti una forma di sovvenzione che il governo cinese dà ai propri prodotti nazionali. E visto che le sovvenzioni per gli stessi prodotti in America è stata eliminata, mi pare alquanto scorretto. Mi pare di capire che il cancelliere tedesco Gerhard Schröder stia spingendo la Banca centrale europea a riesaminare i tassi di cambio euro-dollaro”.

Lei vede all´orizzonte guerre monetarie?

“L´amministrazione Bush sull´andamento del dollaro parla con lingua biforcuta. Il presidente dice di volere un dollaro forte e il ministro del Tesoro fa di tutto per tenerlo debole. Nel breve periodo può anche sembrare una strategia produttiva, perché i prodotti americani diventano più competitivi. Io penso che sia una scelta miope. Non è possibile essere un paese forte e avere una moneta debole, soprattutto alla luce del fatto che gli Stati Uniti per finanziare la loro bilancia dei pagamenti hanno bisogno ogni giorno di un afflusso dall´estero di un miliardo e mezzo di dollari”.

Crede che la decisione della Microsoft di di-stribuire dividendi segnali la fine della politica del rafforzamento dell´azienda e l´inizio d´una stagione di spesa?

“La Microsoft ha una tale liquidità che dieci miliardi di dollari spesi in dividendi non fanno nessuna differenza. Quello che mi pare importante è invece la decisione di politica aziendale presa dalla Microsoft: un segnale chiaro che la distribuzione dei dividendi diventerà abituale e che questo non impedirà di promuovere acquisti futuri che siano basati sull´emissione di nuove azioni o sullo scambio di pacchetti azionari”.

Crede che altri seguiranno l´esempio di Bill Gates?

“Visto lo sgravio fiscale dei dividendi, mi pare che la cosa diventi più attraente sia per la società, perché il suo titolo aumenta di valore, che per il beneficiario”.

Quanto all´affidabilità dei bilanci aziendali: è cambiato qualcosa?

“Mi pare che i consigli di amministrazione prestino adesso più attenzione agli affari dell´impresa. Hanno tutti insediato un comitato di controllori dei conti, si preoccupano della loro indipendenza e dei rapporti con gli analisti delle banche di investimento. Dei cambiamenti sono in corso. Se questo non avvenisse, la stessa sopravvivenza del capitalismo verrebbe messa in discussione. Non si tratta di buona volontà aziendale ma di una inevitabile necessità”.

Lei ha detto che gli operatori di Borsa stanno mettendo il carro davanti ai buoi e che i titoli azionari sono sopravvalutati. Ma a guardare la biotecnologia, la farmaceutica e in generale i titoli quotati al Nasdaq, bisogna riconoscere che ci sono settori che vivono una situazione euforica. Si sta preparando un´altra bolla o si tratta di valori reali?

“Sebbene abbiano perso un sacco di soldi nell´ultima bolla, gli investitori sono convinti che ci sarà un nuovo boom e non vogliono perdere l´occasione, soprattutto in settori ad alto rendimento come la tecnologia. È a questo che si deve l´entusiasmo borsistico delle ultime settimane. Consideri che una quantità enorme di denaro è rimasta bloccata in veicoli finanziari che producono poco più dell´un per cento annuo. Gli investitori stanno mordendo il freno da un annetto e non vedono l´ora di far fruttare queste risorse. Penso però che abbiano anticipato i tempi”.

Si dice che in periodo elettorale se l´economia si comporta bene, il presidente in carica viene rieletto, se va male perde le elezioni. Alla luce di quello che sta accadendo all´economia americana, come se la caverà Bush nel 2004?

“Nel caso di Bush credo che sarà più importante quello che succederà in Iraq. Ciò detto, il denaro che il governo ha pompato nelle tasche dei privati finirà col produrre un´impressione di crescita economica e i suoi segni più evidenti si manifesteranno proprio a ridosso delle elezioni. In quella fase i tagli delle tasse, la svalutazione del dollaro e la riduzione dei tassi di interesse determineranno una situazione di liquidità diffusa nel paese. Non durerà a lungo però, perché quello che manca sono le iniziative strutturali, quelle che nel lungo periodo producono occupazione e crescita economica duratura. Si tratterà di un fuoco di paglia. A cui seguirà un´ulteriore contrazione della crescita del paese”.

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