(9Colonne) – Roma, 10 apr – La lotta al bullismo on-line che in Inghilterra assurge ad affare di stato, le nuove frontiere della rivoluzione “cyber-culturale” del governo di Pechino e i numeri da brivido (magari caldo) del mercato planetario del sesso in rete. Troppa grazia San Giacomo, verrebbe già a questo punto da esclamare, scorrendo le “ultim’ora” riguardanti quel vero e proprio universo parallelo e “contiguo” al nostro che – ad appena quindici anni dalla nascita – è diventato il world wide web, a chi si trovasse a dover scrivere del tema (in riferimento, sia ben chiaro, a quel Giacomo Alberione in testa alle classifiche del sito “santiebeati” nel sondaggio per eleggere il protettore di internet). Epperò si tratterebbe d’un esultanza superficiale, almeno, se non dannosa proprio: in quanto rischierebbe di far passare inosservato che tra britannici, cinesi, americani ed europei “zitti zitti” ecco che a parlare di più sono risultati i giapponesi. “Mirabile visu”, alla faccia delle quotidiane statistiche sul virtuale monofonismo (rigorosamente “anglo”) della rete, la novità è servita: la lingua dei manga batte quella di Shakespeare, almeno nella blogosfera. E’ assodato: il giapponese è ormai l’idioma più utilizzato nei blog a livello mondiale, e ha appena effettuato uno storico sorpasso sull’inglese. I dati sono quelli dell’ultimo rapporto della società di ricerca “Technorati” sullo stato della blogosfera, la comunità senza confini dei diari online: su un totale di oltre 72 milioni di blog attivi in Rete a marzo 2007, il 37% registra messaggi scritti in lingua giapponese, contro il 36% in inglese (che per la prima volta cede lo scettro della prima posizione) e l’8% in cinese. Valga a consolarci (a consolare, meglio, i superati anglofoni) il fatto che in quel del Sol Levante a spingere i “bloggisti” più che una tecnologia futuribile è stato un passato millenario: la forma narrativa del diario, infatti, nasce in Giappone intorno all’anno Mille come espressione letteraria quasi esclusivamente femminile. E’ proprio con il “nikki” (“diario”), che le donne nipponiche avevano la possibilità di raccontare le proprie storie, esperienze e anche dolori, spesso legati al rapporto di coppia o alla posizione sociale, e trovare nelle proprie lettrici un pubblico partecipe e al tempo stesso autore di altri diari che circolavano, anche segretamente, negli ambienti più diversi. Un rapporto talmente stretto, quello tra donne e diaristica, che si è conservato praticamente intonso fino ai giorni nostri, fino ad approdare, con effetti dirompenti, sul cyber-spazio.
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