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BERLUSCONI A NEW YORK

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La tv americana degli intellettuali liberal, poco vista ma prestigiosa e generalmente ben fatta, ha messo in onda giovedì sera un documentario su Silvio Berlusconi che l’Economist di Bill Emmott dovrebbe per lo meno distribuire in cassetta.

Star del programma: un buffo Marco Travaglio con occhiali neri da investigative reporter, Tana de Zulueta e Paul Ginsborg nella parte anglo-becera degli indignati contro un Parlamento sequestrato (hijacked) dalla sua maggioranza, un’assemblea piagnona del sindacato ulivista della Rai (Usigrai) in lotta contro l’autocrazia mediatica, un Giovanni Sartori non in forma, anche lui molto piagnucoloso ma sommamente ambiguo nel ritrarre come hijacked il Corriere per cui scrive, Furio Colombo nella versione Verdurin International Inc., un’assemblea sulla libertà perduta del Corriere in cui un vecchio trombone scoppia a piangere per la dipartita di Ferruccio de Bortoli (satira involontaria molto riuscita), il solito Enzo Biagi che si lamenta e rivendica il diritto di fare comizi partigiani in campagna elettorale, un Alexander Stille appena più compassato ma non meno cattivo e fazioso dei comprimari.

A favore del Cav. un paio di minuti concessi a un giovane candidato di Forza Italia a Fiumicino (Roma), che lo loda e lo dice perseguitato. Immagini e montaggio e scaletta seguono fedelmente il casting. Ingrandito e rallentato a dovere, il celebre e forse ridondante sorriso di Berlusconi diventa il ghigno ambiguo di un uomo che potrebbe da un momento all’altro divorare la democrazia italiana, che ha importato in Italia l’America detestata dai liberal (quella del popolo e dei soldi, beninteso dei soldi degli altri), che esporta nel mondo l’Italia peggiore, quella della corruzione e dell’autoritarismo fascista (vi domanderete se è stato fatto anche il nome di Mussolini: ma certo che è stato fatto).

Persino il New York Times, una Repubblica ben fatta, ha preso le distanze dallo spirito querulo e conformista dello show, mettendo in luce con cinismo mondano e forse con una punta di cattivo gusto le inclinazioni gerontofile della Pbs (ma una fonte è una fonte, cara Ms Stanley, anche se ha passato gli ottanta, e non è l’età che può sconsigliarla o raccomandarla). Domanda: perché parlare di un documentario siffatto, che succo c’è a recensire una roba che il Tg3 si vergognerebbe di mandare in onda, insomma la solita vecchia merda, the same old bullshit?

Il succo c’è. Perché la favola che passa lo schermo e buca la carta, nel mondo, è quella lì. Perché nonostante tutto quella vulgata è un problema significativo, per Berlusconi e anche per l’Italia che magari non lo ama o non lo serve ciecamente ma è razionalmente convinta del suo diritto di governare in base al risultato elettorale, in attesa che gli elettori di un paese perfettamente libero decidano se confermarlo o sostituirlo.

Perché l’attacco al Corriere della Sera di Stefano Folli e in genere a una stampa asservita è particolarmente velenoso e tende a rappresentare un paese in cui non esistono più posizioni “terze” tra i palloncini dei girotondini che cantano “Bella ciao” e gli avvocati del premier che manomettono leggi e Parlamento. Perché con simili credenziali si capisce come perfino un ministro svedese possa gagliardamente concludere, e comunicare al pubblico, che l’Italia non è in grado di presiedere l’Europa e di lavorare per un buon trattato costituzionale, il che dovrebbe essere un problema anche per l’opposizione politico-istituzionale (se ce n’è una), non casualmente aggirata, anzi letteralmente cancellata, dal cast del documentario della Pbs. Ma ecco il punto.

Lo show americano, e più in generale l’epica battaglia antiberlusconiana della stampa internazionale, ha un fondamento roccioso. Si basa cioè su questa idea semplice e facilmente commerciabile sul mercato della politica mondiale, che nega una lettura storica anche molto moderata ma per lo meno problematica del trascorso decennio italiano (1993-2003): l’Italia è un paese normale in cui il conflitto di interessi è riconducibile alla smania di potere del tycoon televisivo fattosi politico populista, e la giustizia è amministrata in modo saggio, imparziale, autorevole e indipendente.

Se queste sono le premesse, e queste sono in effetti le premesse di Pbs come dell’Economist come dei molti altri che con maggiore o minore ribalderia travalicano il diritto di critica e sputtanano la verità dei fatti semplicemente ignorandoli, come si fa a dar torto alla Kaos Edizioni Globale e a non pensare che l’Italia di Berlusconi è mafia, corruzione, avidità e autoritarismo? Ci permettiamo dunque di insistere, sulla linea che abbiamo con una certa ostinazione sposato fin dalla nascita di questo giornale.

A Berlusconi diciamo: in tanti anni non hai fatto un solo passo significativo per ridurre seriamente il grumo di effettive anomalie in cui la tua eccezionale avventura politica è inviluppato, e malgrado ogni attenuante dovuta all’assedio giudiziario e al caos italiano devi sapere che stai passando il segno, che la tua stessa esistenza politica, la tua credibilità riformatrice o anche solo di gestione dell’ordinaria amministrazione, è entrata da tempo in zona pericolo dal momento che il verdetto del popolo è condizione necessaria ma non sufficiente per il buongoverno.

E dal giorno fausto in cui il lodo Maccanico ti ha sottratto alla congiura ribaltonista non puoi più pretendere da nessuno un seguito carismatico, quando il leader è nelle condizioni di essere difeso per quel che egli è, per quel che egli rappresenta, invece che per le cose che fa, per la sua politica.

A Stefano Folli e all’establishment, specie agli intellettuali non asserviti al Reame dell’Apocalissi girotondina, diciamo: finché non vi deciderete a mettere coraggiosamente in discussione, non con note a margine ma con una grande e incisiva campagna italiana e internazionale, le famose premesse del pensiero apocalittico sull’Italia del decennio 1993-2003, ovvero dalla corruzione alla mafia in un paese di buoni magistrati che brandiscono l’imparzialità contro la violenza del potere, non se ne esce. Le posizioni “terze” soccombono se non fanno vivere nel dibattito pubblico i fatti da cui dipendono, se non riescono a divincolarsi dalla battaglia fra opposte partigianerie imponendo esse il capitolo civile da scrivere o riscrivere.

Se in un programma televisivo americano, in sintonia con la campagna unanime di tutti o quasi i media del mondo, si dice impudicamente e faziosamente che il Corriere è oggi ostaggio del governo, dopo una stagione in cui fu un faro della lotta per la libertà, e che nessuno oggi in Italia osa esporre i fatti che riguardano Berlusconi o dare la parola ai suoi avversari, il motivo è uno solo: ignorano o cancellano la storia degli ultimi dieci anni, in particolare la storia della caduta per mano giudiziaria della prima Repubblica e del tentativo di fondare un regime giustizialista di democrazia tardo-giacobina sul falso storiografico scritto da un paio di potenti procure e da molti chierici conniventi, che è poi l’ideologia vetero-comunista del doppio Stato (mafia e illegalità rivestite di un guscio democratico).

Se non entra in campo massicciamente il partito terzista, con il sostegno di una borghesia che non abbia ancora perso la testa appresso a un anarcoide perseguimento di modesti interessi particolari, tutto resterà nelle mani dei girotondi in cui magistrati e chierici si tengono per mano e delle difese politiche approntate alla disperata da una maggioranza caotica.

Saranno giorni neri per tutti. Non solo per noi della fronda, che oscilliamo tra la rassegnazione divertita e cinica all’eterno Berlusconi-show e una residua minuscola speranza di tirarci fuori con il paese dalla vasta pozza di guano in cui siamo impiastricciati, ma anche per voi del partito “terzo”. Conosciamo l’obiezione.

Come si fa a spiegare Berlusconi quando Berlusconi si spiega o pensa di spiegarsi da sé governando tutto in modo autoreferenziale, dal conflitto di interessi all’informazione alla giustizia, acquartierato nella sua maggioranza e in permanente battaglia con l’opposizione? Come si fa a difendere una lettura equilibrata di questi anni, mentre la casa continua a bruciare del fuoco partigiano, senza decadere da una posizione indipendente? Comprensibile. Fatichiamo perfino noi, che siamo amici non servili del Cav. sempre alla ricerca di suoi avversari non faziosi. Ma il bello e il giusto stanno nel difficile.

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