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«BEN TAGLIERA’
MA ORA
NON PUO’ DIRLO»

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(WSI) –
«La congiuntura si sta indebolendo e richiede l’attivazione di politiche economiche di sostegno. In base alla mia esperienza, è probabile che il presidente della Federal Reserve Ben Bernanke arrivi a tagliare i tassi di interesse già nella prossima riunione del 9 maggio. E poi che lo faccia ancora in seguito, almeno un altro paio di volte nel corso del 2007».

L’uomo che dialoga in tono così perentorio è uno che se ne intende: Edward Boehne, già presidente della Federal Reserve di Filadelfia di lungo corso, dal 1981 al 2000. Le sue non sono solo intuizioni, ma il frutto di un mandato ventennale durante il quale Boehne ha lavorato tutti i giorni gomito a gomito con due prestigiosi governatori della Banca Centrale statunitense, i leggendari Paul Volcker e Alan Greenspan.

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Dottor Boehne, veniamo subito a quello che appare come il punto capitale: le sembra che il rallentamento dell’America stia scivolando in una recessione?
Mi pare che la frenata del locomotore americano sia decisamente brusca. Fino a non molto tempo fa, si ipotizzava una marcia del prodotto interno lordo al 2-2,5 per cento. Con buona probabilità, invece, vivremo qualche trimestre improntato a ritmi di sviluppo compresi fra l’1 e il 2 per cento. E quando si danza sul ciglio del burrone, basta un nonnulla per finire nel precipizio.

Lei sembra approvare la tesi, espressa in settimana dal governatore Ben Bernanke, secondo cui l’attività produttiva è in moderazione, ma tuttora sopra lo zero.
In linea di massima, la condivido. L’edilizia tuttavia soffre di una grave crisi di cui non si vede ancora la fine. Il sistema dei prestiti ipotecari sta tornando a pratiche più sostenibili. Questo però si traduce, nel breve termine, in condizioni del credito meno accomodanti. Inoltre, il gran numero di abitazioni invendute lascia presagire un sofferto periodo di consolidamento.

C’è almeno qualche aspetto che rimane positivo?
La spesa per consumi resta l’ultimo importante fattore di crescita. Quando i posti di lavoro abbondano, gli americani non rinunciano mai ai loro acquisti. Certo, se la fiducia dei consumatori dovesse essere seriamente scossa, potrebbero esserci dei problemi. Ugualmente significativa è poi la ripresa delle esportazioni, grazie al buon ciclo economico dell’Europa e dell’Asia.

Quindi, a suo giudizio, quale sarà la risposta della Federal Reserve?
L’esperienza mi ha insegnato che di solito le brutte notizie portano con sé altre brutte notizie e che gli eventi possono evolvere con fulminante velocità. Da questo punto di vista non sarei sorpreso se il direttorio decidesse un taglio del costo del denaro già nella riunione del prossimo 9 maggio o, al più tardi, in quella che si terrà il 27 e 28 di giugno.
E come la mette con l’inflazione? Il presidente Bernanke ha ribadito mercoledì scorso, dinanzi al Parlamento, che la stabilità dei prezzi resta ai suoi occhi di importanza preminente…
Certamente lo è. Al tempo stesso, le vicissitudini dell’edilizia, unite al rincaro del prezzo dei carburanti, gettano un’ombra ulteriore sulle prospettive di crescita. Bernanke ne è assolutamente consapevole. Il cambio di retorica, diciamo così, delle sue esternazioni, riflette proprio questo tipo di apprensione.

Ci sta dicendo che se si dovesse giungere a un bivio fra sviluppo e inflazione, l’obiettivo di sostenere la crescita sarà comunque prioritario?
Non esattamente, mi limito ad affermare che sovente, quando la congiuntura frena, la dinamica dei prezzi perde il proprio impeto spontaneamente. E che se ciò accadesse, lo spazio per una politica monetaria di stimolo si allargherà.
Le aspettative prevalenti del mercato, che si possono desumere dai contratti future, anticipano due o tre tagli dei tassi d’interesse da qui a fine 2007. Lei pensa che sia una scommessa verosimile o del tutto inverosimile?
Trovo che corrisponda alla mia stessa valutazione degli eventi. Non mi fraintenda, però: se anche Bernanke le bisbigliasse nell’orecchio le sue più intime convinzioni, non potrebbe dirle con certezza quali saranno le prossime mosse della Federal Reserve.

E perché?
Perché non può permettersi di operare scelte improvvise. Deve aspettare che le statistiche in uscita nelle settimane venture gli diano maggiori elementi di valutazione, cioè maggiori dettagli per stilare una diagnosi accurata.
Cambiamo argomento: il mercato azionario da qualche settimana è salito sull’ottovolante. Lei non è un analista di Borsa, ma, se non le spiace, vorrei un parere.
Con piacere. È in atto una generale revisione del rischio da parte degli operatori. Tutto sommato, si tratta di uno sviluppo favorevole perché garantisce che le quotazioni rimangano in armonia con i fondamentali. D’altra parte, mentre l’aggiustamento prende forma, i nervi sono messi a dura prova.

Parliamo del dollaro. Qual è la direzione del cambio?
Forse siamo alle soglie di una stabilizzazione della divisa statunitense, sebbene temporanea. Mi riferisco, in primo luogo, al possibile miglioramento della bilancia commerciale. L’economia internazionale appare divisa in due segmenti: l’America in frenata e il blocco eurasiatico che mostra un buon dinamismo. Ciò dovrebbe dare sollievo al nostro export, limitando le importazioni.

Eppure da qualche seduta l’euro oscilla sopra 1,33?
Sì, ma è un venticello di brezza. Poi, badi, io ho auspicato un miglioramento della bilancia commerciale, ma non ne ho previsto un calo vistoso. Ed è decisamente vero che la dimensione del deficit farà gravare negli anni un’ipoteca pesante sul futuro del dollaro.
Cosa può dire sui titoli del debito?
Il decennale governativo rende circa il 4,6 per cento. La cedola sarebbe assai maggiore se l’afflusso dei capitali stranieri non trattenesse i saggi d’interesse sotto il 5 per cento. Le istituzioni asiatiche e mediorientali continuano a riciclare l’attivo dell’interscambio in America, comperando T-bond. La tendenza è destinata a proseguire perché non si intravedono novità all’orizzonte. Dunque, immagino uno scenario con variazioni minime, diciamo fra il 4,5 e il 5 per cento.

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