Economia

“Basta euro e globalizzazione. Da banche centrali solo bolle. Cosa fare”

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“Purtroppo il quadro politico economico internazionale con la globalizzazione è cambiato notevolmente e gli equilibri interni vengono superati da logiche globali. Bisogna rilanciare la crescita vera, quella reale. Rilanciare i paesi, rendendoli attraenti defiscalizzando; proteggere le proprie economie e i propri prodotti con le accise. Se l’Europa mi impone l’olio turco o tunisino, no grazie, faccio a meno dell’Europa. Indipendenza monetaria (fuori dall’euro). Porre un tetto massimo all’indebitamento netto e tetto cap e floor ai tassi di interesse. Insomma, deglobalizzare! Parola di Francesco Bragadin, attivo nella promozione di servizi per il trading online su Forex e Cfds, economista e manager per diverse aziende tra cui Microsoft, DeHavilland, Dow Jones e adesso per City Credit Capital.

Bragadin si chiede, anche: “Perchè non fanno uscire la Grecia dall’euro?”. Secondo lui, la risposta è semplice: in fasi di recessione i governi devono spendere e iniettare soldi nell’economia. E, nel caso dell’ Eurozona, svalutare la moneta e rendere i loro paesi competitivi è possibile solo in caso di uscita dall’euro, fattore che distruggerebbe la Germania”.

WSI – Quali sono le sue previsioni nell’immediato – e nel medio periodo – sulle prossime mosse della Federal Reserve, della Bce e della Bank of Japan? Perchè ritiene che le banche centrali, da ben 15 anni, abbiano avuto un impatto negativo sull’economia e sui mercati? E’ d’accordo con chi crede che, in particolare sul mercato dei la Greciabond, si sia creata una bolla gigantesca?

BRAGADIN – Comincerei a rispondere alle sue domande alternando concetti di macro economia ad eventi storici per conoscere il passato, capire il presente e ipotizzare ciò che potrebbe succedere nel futuro. I tassi di interesse nel 1982 erano al 19%… da non credere,  vero? Ma dopo la crisi petrolifera ciò che serviva era una medicina anti iperinflazione, motivo per cui il costo del denaro venne portato a tali livelli. Successivamente, la Fed ridusse progressivamente i tassi, che scesero fino al 6% nel 1986 e fino all’1% nel 2004, per poi essere portati allo 0% (ZIRP) nel 2011. Durante questo lungo periodo, abbiamo assistito a diverse bolle: la bolla del 1987, quella del 2001 e quella del 2007, che si sono manifestate tutte poco dopo il rapido declino dei tassi.

DOMANDA -Una crescita dunque, illusoria? In che condizioni di salute versano i fondamentali dell’economia che sono stati sostenuti fino a questo momento da una politica di tassi bassi, se non anche al di sotto dello zero?

RISPOSTA -Andiamo un po’ più nello specifico, per comprendere queste crisi un po’ più a fondo e anche per capire cosa accade nell’economia reale quando si alzano o riducono i tassi. La riduzione dei tassi induce aziende e consumatori ad aumentare la leva finanziaria. Il denaro costa poco, quindi ci si può permettere qualcosa in più. I risparmi si trasformano progressivamente in debito. L’economia, in teoria, riparte e siamo tutti più contenti. Magari fosse così. Di fatto, ciò che abbiamo vissuto sono state solo illusioni di crescita, alimentate da consumi interni, che sono saliti grazie alla leva finanziaria. Basti pensare al 2004 quando, considerata la facilità con la quale si concedeva denaro, il mercato immobiliare iniziò il volo verso altre galassie, così come accadde per i prestiti con carta di credito, per le borse di studio, l’acquisto di auto e tutto ciò che fosse legato al finanziamento del credito al consumo. Ma l’economia cresceva davvero? No. In realtà, le aziende americane continuavano a decentrare in Cina o altri paesi, dove la manodopera era più a basso costo. Gli earning per share (EPS, utili per azione) andavano su, ma erano falsati dalle operazioni di buyback azionario (riacquisto di proprie azioni) e di M&A (merger and acquisitions, fusioni e acquisizioni). Quindi le aziende facevano profitti e assumevano, anche se i ricavi di vendita diminuivano. In realtà l’economia si stava solo indebitando.

D – Tassi bassi di interesse dovrebbero tuttavia rendere in teoria meno costoso l’indebitamento. Così ha detto anche recentemente Mario Draghi, numero uno della Bce, nel suo intervento al Bundestag. Gli Usa sono riusciti a ripartire, anche se non è chiara la reazione che si avrebbe nel caso in cui si dovesse trasformare la politica monetaria in una restrittiva nel vero senso della parola.

R –Il punto è che (sempre riferendosi agli Usa) i tassi di interesse bassi a quei livelli spinsero le aziende a cambiare fonte di approvvigionamento del capitale. La corporate America puntò soprattutto sul capitale di terzi emettendo corporate bond (obbligazioni societarie), con rendimenti ai minimi storici. Gli amministratori delegati presero ad emettere debito per ricomprarsi azioni proprie e far salire gli indicatori sui quali veniva calcolato il loro compenso. Allo stesso tempo le istituzioni finanziarie bisognose di rendimenti si spingevano oltre livelli di rischio accettabili. E il punto è che, se si prende in carico un prestito rischioso si alza il rendimento, al punto che su questo si darà vita a un intero sistema fraudolento (vedi CDO e Synthetic CDO e CDS). Quando si raggiunge un livello di indebitamento troppo elevato a un certo punto ci si deve fermare. Di conseguenza, si smette di spendere per tirare la cinghia e ripagare il debito. Questo è il momento in cui tutti cominciano a soffrire, e in cui prende il via più o meno ufficialmente la fase di deleveraging (riduzione leva finanziaria). L’economia comincia ad mostrare segni di debolezza e la banca centrale (in questo caso la Fed) non sa più cosa fare perchè i tassi sono ormai prossimi allo zero (si chiama trappola della liquidità). Anzi, la Fed distrugge il mercato dei bond governativi , che ormai non hanno più mercato, visti il valore troppo basso dei rendimenti e il livello di rischio oltre i limiti accettabili, il che si traduce in prezzi elevatissimi. L’inflazione sale a livelli prossimi all’iperinflazione, quindi la soluzione è quella di alzare i tassi di interesse. Ma con un tasso di inadempienza che sale vertiginosamente l’aumento dei tassi di interesse provoca il crash. A questo punto, la banca centrale deve entrare in azione per favorire il deleveraging, stampando moneta. E si riparte, punto e capo.

D – Cosa dire della situazione in cui versa l’Eurozona, ingabbiata in un contesto di bassa crescita-disinflazione, se non deflazione vera e propria?

R-Il problema è che i governi mondiali hanno un rapporto debito/PIL troppo elevato, quindi le banche centrali hanno inventato un nuovo strumento, chiamato QE. L’alleggerimento quantitativo (la stessa parola lo dice) riduce l’esposizione finanziaria degli istituti finanziari per evitare la corsa agli sportelli, i quali, eviteranno di stringere la cinghia e limitare il credito. Cosa succede però? Si tratta davvero un intervento a favore dell’economia reale? No. La verità è che non si fa altro che intervenire continuando a prestare denaro che un giorno dovrà essere restituito. Di fatto il QE aumenta le disuguaglianze. Guardando all’ Europa la BCE ha sperimentato i tassi negativi accompagnati da QE. E’ migliorata la situazione in italia? In Francia? In Spagna? In Grecia?La risposta è “No”. Anzi, in Europa la situazione è ancora più delicata. Paesi troppo eterogenei tra loro anche dal punto di vista macroeconomico, ma accomunati da un’unica politica monetaria. Visto che questa politica monetaria crea solo disuguaglianze, ecco come i paesi a bassa velocità vanno sempre più giù, mentre i paesi forti si rafforzano di più. In più, la politica fiscale in Europa è vergognosamente distruttiva. L’austerity serve solo a proteggere la Germania che è un paese detentore di una percentuale cospicua del debito di tutti gli altri paesi europei.

D. In tutto questo, gli indici americani viaggiano sui massimi storici.

R. E’ il risultato di shares buyback e M&A. I mercati azionari sono estremamente sopravvalutati. Il mercato dei bond pure, ovviamente e, come abbiamo visto una settimana fa. non appena la curva dei rendimenti accennava a una risalita il mercato è crollato rapidamente (anche se solo di pochi punti). Chiamiamolo pure stress test. Anche la Brexit è stata uno stress test. Considerando però che negli Stati Uniti gli indici sono scambiati a un valore pari a 25 volte gli earnings allora il ritracciamento potrebbe essere più pesante.

D. Quali sono le sue previsioni sui mercati?

R. Ritengo che l‘indice Vix (della volatilità, noto anche come indice della paura) riprenderà la sua corsa, causa le elezioni americane e le attese sulle decisioni della Fed sui tassi. Sul fronte delle materie prime, le commodities stanno incorporando la grande incertezza che si diffonde nei mercati internazionali. Secondo me informazioni su scorte e produzione hanno solo avuto un impatto di breve, ma non contano per il lungo. Anche le oscillazioni sull’ oro dovrebbero allertare gli investitori, perchè in una commodity da sempre cosiderata rifugio ci si dovrebbe aspettare maggiore direzionalità. E’ mia opinione che livelli di $1600 o più siano possibili in caso di crash.

D. Consiglierebbe agli italiani in questo momento di puntare sul mattone? O la ripresa è troppo fragile? Su quali asset gli italiani nello specifico dovrebbero puntare?

R. Sul fronte del mercato immobiliare, di sicuro io non comprerei casa come formula d’investimento. Lo farei solo a Londra. Perchè? Io guardo alla rendita immobiliare, non all’incremento del valore patrimoniale che è sempre più legato al mercato del credito. A Londra ci sono ancora grandi opportunità e una rendita immobiliare al di sopra della media europea. In generale, l’acquisto di immobili adesso è comunque rischioso, perchè l’aumento dei tassi e l’eventuale fine di QE porterebbe le banche a cambiare le politiche in termini di garanzie richieste, credit score etc. Io non voglio prendere a prestito se il flusso finanziario in uscita connesso col pagamento degli oneri non è coperto da un flusso in entrata.

D. Quali scelte prenderebbe se fosse Draghi?

R. Se fossi Draghi probabilmente farei lo stesso. Le banche centrali sanno cosa fanno. Quando la Yellen prese l’incarico disse: “chi non impara dal passato, lo ripete”. Stanno rifacendo la stessa cosa che hanno fatto negli ultimi dieci anni circa o due crisi fa. Un motivo ci sarà pure, no? Ai lettori toccherà capire quale.

D. Banche italiane e sofferenze. Cosa rischiano davvero gli azionisti, obbligazionisti e correntisti? Consigli?

R. I piu’ grandi rischi ad operare nel sistema finanziario italiano sono il bail-out che costerebbe ai contribuenti, il bail-in ai correntisti. Gli azionisti? Facciamo un ragionamento da trader/investitore. Se si spera di recuperare la perdita allora direi “ perchè non andare alla ricerca di altre opportunità in giro per il mondo? E’ più facile recuperare i soldi investendo in una start up che in MPS.