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(WSI) –
L’altro giorno, al tavolo coi rappresentanti dei Comuni e nei giorni precedenti all’incontro a Capri con gli industriali, il ministro dell’Economia si deve essere sentito come ad un’assemblea condominiale. Si sarà detto: tutti chiedono qualcosa e, se c’è da dare, guardano più agli altri che a se stessi.
Ai Comuni il governo ha ridotto di un quinto l’aggiustamento loro richiesto, senza tra l’altro rendere più efficace il sistema di sanzioni agli enti locali che non rispettano i patti. Presto incontrerà le Regioni, cui presumibilmente concederà qualche deroga ai tetti alla spesa sanitaria. Mentre agli industriali ha già promesso di esonerare le piccole imprese dall’operazione Tfr. Insomma abbiamo già oggi, a una settimana dalla presentazione della Finanziaria, un significativo ridimensionamento della manovra. Senza che vi sia stata alcuna protesta di piazza. Dopo che il segretario del maggiore sindacato aveva addirittura celebrato «la Finanziaria che volevamo», «l’unica possibile».
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Perché tanta arrendevolezza? Il fatto è che questa manovra sta facendo perdere al governo molti consensi al centro, i voti decisivi per vincere le elezioni. Più che una Finanziaria che agisce contro il ceto medio, questa è una Finanziaria contro l’elettore medio, defraudato del suo ruolo di ago della bilancia. Come documentato sul sito lavoce.info, le scelte di fondo fatte in questa manovra non riflettono le preferenze degli elettori di centro-sinistra. In molti casi non corrispondono neanche a quelle degli elettori della parte più a sinistra della coalizione. Non se ne trova traccia nel pur interminabile programma dell’Unione. Sono, invece, scelte iscritte al sindacato, corrispondono ai desideri dei due gruppi in cui si contano più di due terzi delle tessere sindacali: pensionati e dipendenti pubblici. Vediamo come e perché.
Il Dpef votato a luglio dal Parlamento chiedeva al governo di tagliare la spesa previdenziale e quella per i dipendenti pubblici. Nella Finanziaria non c’è nulla di tutto ciò, neanche la chiusura di una finestra per le pensioni di anzianità; nel pubblico impiego ci sono solo nuove risorse (più di un miliardo) per il rinnovo dei contratti e per l’assunzione dei precari della scuola (senza concorso, quindi senza alcun controllo di qualità!).
Solo su magistrati e docenti universitari si abbatte la scure: si vedono dimezzati gli scatti di anzianità, il che significa una riduzione di circa il 30 per cento dello stipendio nell’arco di una carriera. Guarda caso, magistrati e docenti universitari sono gli unici due comparti del pubblico impiego non sindacalizzati. Data l’esiguità dei tagli, la manovra opera quasi solo sulle entrate (contano fino all’84% delle coperture) piuttosto che tagliare le spese, coerentemente con quanto chiedono pensionati e pubblici dipendenti, ma non la maggioranza degli elettori di centro-sinistra. Ma il sindacato non si è limitato a porre dei veti.
Questo spiega perché la Finanziaria è così grande: al di là dei 15,2 miliardi reperiti per rispettare gli impegni presi con l’Unione Europea, ce ne sono altri 19,5 di misure che prendono ad alcuni per dare ad altri, con saldo zero per le casse dello Stato. E il profilo distributivo di questa redistribuzione corrisponde in tutto e per tutto agli interessi di pensionati e dipendenti pubblici. I fatidici 40.000 euro, la soglia di reddito al di sopra della quale la nuova Irpef morde, corrispondono al limite superiore nella distribuzione dei redditi dei dipendenti pubblici, ad eccezione ovviamente di magistrati e docenti universitari. Non c’è nulla per i poveri, quelli che non pagano le tasse, mentre i nuovi assegni famigliari non vengono dati a lavoratori atipici, disoccupati e ai lavoratori autonomi. Tra tutti questi gruppi sociali non si contano molti iscritti al sindacato.
Anche il dirottamento del Tfr inoptato all’Inps non riguarda i dipendenti pubblici (il loro Tfr è già nelle casse dello Stato) e i pensionati. Abbiamo dovuto attendere le proteste degli industriali (che non dovrebbero certo parlare di «scippo ai danni delle imprese» dato che non si tratta di soldi loro!) prima di vedere qualche ripensamento nel sindacato. E’ un ripensamento, peraltro, dettato dalla volontà di riaprire il dialogo con le organizzazioni di categoria («c’è un problema aperto con Confindustria, perché forse questa misura sul Tfr non è stata preparata bene», ha detto Epifani), piuttosto che dal contenuto dell’operazione in quanto tale.
Se, come ci auguriamo, il governo toglierà dalla Finanziaria questa scommessa contro il decollo della previdenza integrativa, i tagli non riguarderanno comunque il sindacato. Sono già state bloccate spese a scopo cautelativo, nel caso di bocciatura dell’operazione Tfr da parte di Bruxelles. Inutile dire che non riguardano i gruppi di interesse presidiati dal sindacato. Non c’è il contratto del pubblico impiego in questo elenco di spese a rischio di copertura. Ci sono invece molti investimenti infrastrutturali: è un problema per Di Pietro, non per il sindacato.
Alla luce di questa Finanziaria, l’elettore medio si sta forse chiedendo se non valga la pena di porre fine a una ipocrisia di lunga data, quella per cui si finge che le organizzazioni volontarie rappresentino gli interessi di tutti e non invece solo quelli dei loro aderenti. Non serve prendersela col sindacato perché persegue gli interessi dei propri iscritti. Serve, invece, mettere in discussione la rappresentatività del sindacato e delle altre associazioni che si siedono ai tavoli della concertazione. Alle riunioni condominiali, dopotutto, si contano le deleghe. E’ venuto il momento di farlo.
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