Il contenuto di questo articolo esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.
(WSI) – La notizia non è che il senatore nero Barack
H. Obama faccia ogni giorno un
passetto avanti verso la decisione di candidarsi
alla Casa Bianca nel 2008 e nemmeno
che i repubblicani, evidentemente
preoccupati dal suo status da rock star, comincino
a segnalare al pubblico americano
che quella misteriosa H puntata tra il
nome Barack e il cognome Obama sta per
Hussein, proprio come Saddam.
La notizia
è che la stella nascente del Partito democratico
sta provando a lanciare una nuova
filosofia politica, chiamiamola “progressismo
compassionevole”, la versione di sinistra
del “conservatorismo compassionevole”
ideato dal professor Marvin Olasky e
diventato il marchio di fabbrica delle politiche
sociali e religiose di George W. Bush.
Questo giornale ha segnalato per tempo i
gran discorsi su fede e politica di Obama,
ma l’operazione del senatore è ben più ambiziosa
del semplice e opportunistico parlare
pubblicamente della propria fede, come
fanno tutti gli altri contendenti di sinistra.
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Obama non vuole spostarsi a destra
per intercettare il voto dei credenti, piuttosto
prova a spostare a sinistra una fetta importante
dell’elettorato evangelico proponendo
una piattaforma programmatica e
ideale simile a quella elaborata da Bush.
E’ diventato tutto molto chiaro la settimana
scorsa, quando Obama è stato invitato –
insieme con il social conservative Sam
Brownback – a parlare di lotta all’Aids nella
megachiesa di Rick Warren, il più famoso
ideologo cristiano d’America, un pastore
evangelico il cui libro – “Purpose-driven
Life” – ha venduto oltre 25 milioni di copie.
In quell’occasione Obama non ha parlato
soltanto della sua fede (“la mia fede mi ricorda
che siamo tutti peccatori… l’esempio
di Cristo… ci guida, come americani, verso
una politica nuova e migliore”), ma soprattutto
ha ricordato il collegamento decisivo
tra la fede religiosa e l’impegno individuale
a favore dei bisognosi, paragonando
questo principio cardine della filosofia politico-
sociale di Olasky-Bush allo spirito
del movimento dei diritti civili del reverendo
Martin Luther King.
Le ultimissime su Obama dicono che la
scelta definitiva sulla sua candidatura sarà
annunciata dopo le vacanze di Natale alle
Hawaii, a casa della nonna materna. Lunedì
notte, in diretta televisiva durante il
posticipo di football che è la trasmissione
più vista della settimana, Obama è apparso
seduto dietro la sua scrivania per annunciare,
con tono grave e solenne, di essere
finalmente pronto a scendere in campo…
ma per tifare a favore della squadra
di Chicago.
Lo scherzo ieri è stato ripetuto
decine di volte sulle televisioni all news,
contribuendo a consolidare il “momentum”
favorevole alla sua candidatura o, come
dice lui stesso, ad allungare quel quarto
d’ora di celebrità che secondo Andy
Warhol in realtà spetta a tutti. Intanto gira
il paese riempiendo sale da duemila persone
paganti 25 dollari ciascuno, incassando
il sostegno del multimilionario George
Soros, così come una serie di pezzi grossi
di Hollywood, pronti a scaricare Hillary
Clinton. L’ex first lady è considerata ineleggibile,
ma soprattutto ha deluso l’ala sinistra
del partito per la sua continua rincorsa
al centro.
Obama, invece, è l’unico
dei possibili candidati che fin dall’inizio
s’è battuto contro la guerra in Iraq e che
può vantare su tutti gli altri temi cari ai liberal
il curriculum più radicale. Per tutto
ciò Obama è una minaccia vivente e di sinistra
ai piani perfetti di Hillary, ma le sue
chance di successo sono legate alla rielaborazione
liberal del conservatorismo
compassionevole di Bush.