Chi guarda soltanto i telegiornali non lo saprà mai ma il governo Berlusconi ieri ha rischiato di andare a casa. È fallita l´utopia berlusconiana di poter guidare la maggioranza e il Paese come un´azienda sotto padrone. È fallita nei giorni scorsi quando il presidente operaio è tornato al lavoro per liquidare la verifica e ha scoperto di doversi arrendere ai “no” di Fini e Follini. È franata ieri sera quando il partito azienda, assediato alla Camera da una quarantina di franchi tiratori, ha dovuto sventolare bandiera bianca e ritirare in fretta la Gasparri per non rischiare una vera e propria crisi. Tradito dai suoi, Berlusconi è stato salvato dalla sempre amorevole opposizione.
Se il governo è ancora in piedi, deve dire grazie a una trentina di assenti del centrosinistra, fra i quali quattro segretari di partito (Bertinotti, Boselli, Diliberto e Mastella), più Pecoraro Scanio in missione, oltre a sette Ds, sei della Margherita e la quasi totalità dell´Udeur. Tutti bravi a far comizi.
Nessuno si aspettava la gigantesca imboscata parlamentare alla Gasparri, meno di tutti Berlusconi. Il padrone della Cdl aveva convocato l´assemblea degli inquilini al gran completo. I deputati della maggioranza c´erano tutti e così i membri del governo, schierati in assetto di guerra. Ai blocchi di partenza la Gasparri poteva dunque contare su cento voti di vantaggio, più i trenta regalati dai cespugli ulivisti. Ma già ai primi voti sulla costituzionalità la maggioranza era collassata a soli nove voti di vantaggio.
Dopo un´ora, il margine era sceso a due. A quel punto è suonata la ritirata, prima che qualche movimentista ricordasse i propri doveri. La Gasparri ricomincia daccapo, in commissione, dove rischia di rimanere impantanata a lungo.
Si tratta di una colossale sconfitta personale per Berlusconi e anche il segno di una crisi politica profonda. Fino a ieri la maggioranza aveva litigato su tutto ma s´era sempre ritrovata compatta, come una guardia presidenziale, intorno agli interessi del capo. La chiamata alle armi aveva funzionato per la Cirami, le rogatorie, il lodo Maccanico, la stessa Gasparri nella sua prima versione. Stavolta la guardia ha disertato l´appello, anzi si è dissolta. Proprio nella battaglia più delicata e importante, dopo la bocciatura di Ciampi e sul sacro terreno delle televisioni. È un colpo al cuore del conflitto d´interessi ma anche una vera ribellione alla leadership.
Da oggi Berlusconi è un uomo solo al comando, circondato da uno stuolo di servi ma non un alleato fidato.
Può darsi che Berlusconi voglia rovesciare questa solitudine in un´altra sfida, che intenda governare da solo e poi correre alle elezioni contro tutti, alleati e avversari, con una faraonica campagna elettorale centrata sulla propria immagine “eroica” da offrire al popolo televisivo. L´impresa non sarebbe facile, televisioni a parte. Il referendum personale Berlusconi l´ha già vinto una volta e il secondo miracolo non è contemplato dai sondaggi.
Nel 2001 al Cavaliere s´era presentato come “eroe” populista ma anche come grande federatore della destra. Era riuscito a cancellare il ricordo del fallimento del ´94, a porsi ancora al centro della scena e infine conquistare la più larga maggioranza parlamentare dai tempi di De Gasperi. Un capolavoro politico che nell´ultimo anno lo stesso autore ha smontato pezzo dopo pezzo.
La maggioranza è più divisa e fragile che mai, l´ombra del ´94 torna ad allungarsi. Ma la vera novità è che l´intera società italiana, e ora perfino gli alleati di governo, sembrano essersi stufati della centralità di Berlusconi e dei suoi affari. Stanchi del referendum permanente che dura da dieci. Insofferenti alla prospettiva di vivere sotto un padrone che si appropria di qualsiasi tema, guerre ed economia mondiale, giustizia e informazione e perfino storia, per ridurlo a misera appendice di un ego mostruoso. Come se i problemi veri non esistessero in sé, oggettivamente, ma soltanto in funzione di un soggettivo “pro” o “contro”. E invece i problemi esistono e si fanno sempre più seri. Così mentre Berlusconi si allontana dalla realtà, Fini e Follini la riscoprono.
La prova clamorosa di questa scissione nella maggioranza si è avuta in questi giorni. S´è capito che quando parlano di verifica, Berlusconi e gli alleati coltivano idee opposte. Il capo tratta la questione come una ribellione edipica di Fini e Follini, una specie di capriccio filiale da liquidare con due pacche, un complimento, tre poltrone e tanto paternalismo.
Gli alleati invece la considerano una faccenda serissima e concreta, fatta di scelte di governo, soprattutto economiche, di pensioni, lavoro, giustizia, anche informazione. Tutte faccende che per Berlusconi contano infinitamente meno di Berlusconi, delle sue televisioni, dell´urgenza di fare il lifting alla Gasparri e di trovare uno spaventapasseri per la futura presidenza Rai. Il resto è silenzio, al massimo barzelletta. C´era un solo modo per far capire a Berlusconi che non è così, toccarlo nel business televisivo. Gli alleati l´hanno fatto, il re è nudo. Ma se lo conosciamo bene, è da oggi ancora più pericoloso.
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