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Banche svuotate in Veneto: in alcuni casi i Lupin erano i direttori

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Non avevano bisogno di mascherarsi da presidenti, come la banditi di Point Break, e nemmeno di sfoggiare i sorrisi delle belle occasioni come Clooney e Brad Pitt. Non puntavano pistole e non tenevano in ostaggio i clienti, ma erano loro le menti delle operazioni.

Ci sono anche due direttori di filiali tra i 15 arrestati dell’operazione «Pinocchio», l’autentico blitz messo a segno dai carabinieri per sgominare la banda delle rapine in banca che negli ultimi anni aveva raccolto un bottino di quasi 2 milioni di euro nel solo Nordest, mettendo a segno 12 colpi.

Evidentemente sognavano di vivere nell’agio più assoluto: lo stipendio da direttori di banca forse non era sufficiente. Uno di loro, Raoul Da Frè, era l’ex numero uno della filiale dell’Antonveneta a Susegana, in provincia di Treviso.

L’altro, Francesco Bianchi, era responsabile della Banca Intesa ad Asiago, nel Vicentino. Le informazioni passate all’organizzazione criminale sui sistemi di sicurezza e sul contenuto della cassaforte erano il viatico per arricchirsi sempre più.

Ma appostamenti e intercettazioni li hanno smascherati: i militari dell’Arma hanno messo in campo elicotteri e unità cinofile, proprio come in un film che si rispetti.

Si sono mossi in Veneto, in Trentino e in Sicilia: l’organizzazione criminale era articolata in tre livelli – organizzativo, logistico e operativo – con elementi interni agli istituti bancari. Abitualmente operava con gruppi di due-tre persone alla volta per l’esecuzione delle rapine.

Le indagini, durate oltre un anno, hanno permesso di sventare l’ultima rapina, programmata per le prossime settimane nel territorio veneziano. Era già organizzata nei dettagli, con un piano degno degli sceneggiatori hollywoodiani, armi incluse. Gli investigatori hanno contestato oltre dieci assalti alle banche del Nordest, compiute da inizio 2008 a metà 2009 tra Asiago e Vittorio Veneto, Arco e Selvazzano Dentro.

In un’occasione, durante la rapina alla Cassa di Risparmio del Veneto, a Padova, uno dei banditi era riuscito a varcare la bussola indossando un casco integrale e un paio di occhiali scuri.

Un’operazione troppo particolare per non destare qualche sospetto negli investigatori. «Andate in quella banca, sono appena arrivati 200 mila euro», era una delle informazioni data dal dirigente trevigiano alla banda. Il resto del gioco era ormai semplice. Le indagini hanno permesso di stabilire che si era instaurato un forte legame tra i due dipendenti bancari e le persone che poi compivano le rapine, in particolare venete e siciliane. Il gruppo d’azione era formato mediamente di due o tre rapinatori, armati, che, dopo aver rinchiuso in qualche locale impiegati e clienti, attendevano che si aprissero le cassaforti a tempo.

I gip di Trento, Treviso e Rovereto hanno firmato gli ordini di cattura, alcuni nei confronti di banditi già noti per i precedenti specifici, altri nei confronti di un orafo e di un intermediario vicentino. Per chi stava vicino ai direttori di banca, invece, emerge sconcerto.

Nel corso dell’operazione sono state compiute anche 25 perquisizioni che hanno permesso di raccogliere elementi utili per la prosecuzione delle indagini su altri presunti complici o altre rapine compiute dalla banda.

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