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BANCHE SVIZZERE: IL SEGRETO C’E’ ANCORA

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«Il segreto bancario esiste ancora? Assolutamente si». La frase campeggia in primo piano nella pubblicità del ticinese Centro Studi Bancari Villa Negroni. L’associzione bancaria della Svizzera italiana l’ha lanciata su diversi quotidiani, tra cui Il Sole 24 Ore. «Il segreto bancario – si legge nella pubblicità – ha l’obiettivo di proteggere la sfera privata dei clienti delle banche da interventi ingiustificati da parte di terzi; una serie di norme vieta infatti di principio la comunicazione illegittima dei dati bancari dei clienti, tutelando fermamente la riservatezza».

L’oggetto della promozione è un nuovo master in «Compliance bancaria» del Centro Studi Bancari Villa Negroni. Ma il messaggio appare diretto ai clienti italiani. E sembra volerli rassicurare: il segreto bancario svizzero è vivo e vegeto e i recenti avvenimenti a livello internazionale «non ne hanno modificato le caratteristiche nella sostanza». Un messaggio chiaro, che arriva in un periodo particolarmente critico, nei rapporti con il nostro Paese, per gli istituti di credito elvetici.

Lo scudo fiscale e i controlli delle Entrate
L’agenzia delle Entrate ha recentemente escluso la Svizzera, così come San Marino, dalla lista dei Paesi extracomunitari dove è possibile regolarizzare i patrimoni senza rimpatriarli. I dati resi noti dall’agenzia mostrano poi che gran parte dei contribuenti italiani che nasconde soldi al Fisco, lo fa depositandoli in conti off shore, lo fa nella vicina Svizzera. La preoccupazione degli istituti di credito di perdere clienti italiani appare più che giustificata (e il messaggio lanciato con la campagna pubblicitaria è emblematico a proposito). Soprattutto alla luce delle recenti stime delle Entrate sui depositi italiani nei forzieri delle banche elvetiche: circa 125 miliardi. C’è da poi ricordare la recente stretta delle Entrate sulle filiali estere delle banche italiane. Una circolare ha chiarito che anche loro «sono tenute a inviare i dati relativi ai rapporti intrattenuti e alle operazioni effettuate dalla propria clientela italiana all’archivio dei conti correnti dell’Agenzia delle entrate».

Il segreto non è più tanto segreto
Le informazioni sui correntisti dei paradisi fiscali non sono più “off limits” come un tempo. In questi ultimi anni sono stati diversi i casi di informazioni segrete trapelate oltre confine. Il primo episodio eclatante è stato quella della famosa lista Vaduz: un dvd con i nomi di 1.400 evasori fiscali titolari di un conto in Liechtenstein, acquistato dai servizi segreti tedeschi a inizio 2008. Molto clamore poi ha avuto la controversia tra il Governo americano e Ubs. La banca accusata dal fisco americano di aver favorito frodi ed evasioni fiscali, ha accettato infatti di rivelare all’amministrazione Usa i nomi di circa 5000 correntisti sospettati di evasione fiscale (un decimo dei 52mila nomi richiesti a suo tempo dal fisco Usa). C’è infine la lista rinvenuta dalla Guardia di Finanza nei documenti dell’avvocato ticinese Fabrizio Pessina. Un elenco in cui figurano più di 500 soggetti sospettati di evasione, tuttora all’esame del Fisco italiano.

L’uscita dalla lista grigia dell’Ocse
La crisi ha costretto i governi di tutto il mondo a consistenti interventi interventi a sostegno dell’economia, mettendo a dura prova le finanze pubbliche. E questo ha avuto come inevitabile conseguenza la forte mobilitazione a livello internazionale contro i paradisi fiscali, per recuperare gettito e rimpatriare risorse utili all’economia. Mobilitazione che ha portato all’uscita della Svizzera dalla lista grigia dell’Ocse il mese scorso. La Confederazione ha infatti firmanto convenzioni contenenti la clausola dell’assistenza amministrativa ampliata in materia fiscale con 12 paesi (tra cui però non c’è l’Italia). Berna aveva ampliamente pubblicizzato la sua promozione tra i paesi collaborativi. Una campagna che sembra in contrasto con quella lanciata dall’Associazione delle banche ticinesi.

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