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(WSI) – Le mosse della Banca d’Italia per evitare che il sistema creditizio italiano
venga “colonizzato” da altri sistemi, nei confronti dei quali non vigono
reali rapporti di reciprocità, rappresentano una specie di linea di
emergenza. Non elegante, ma fondata su un elemento di indubbia ragionevolezza.
Il vero problema, però, non è il tentativo di contenimento delle singole
iniziative, quella che in termini calcistici si definirebbe una “difesa a
uomo”. La debolezza dell’azione del governatore sta nella rigidità con
cui ha più in generale impostato il tema delle fusioni bancarie nazionali,
con un dirigismo assai penetrante che pretende di predeterminare pesi ed
equilibri dei vari soggetti.
Se oggi la Banca Nazionale del Lavoro è sotto
attacco dall’estero, una delle ragioni sta anche nel fatto che, quando
Unicredit qualche anno fa espresse interesse a un’acquisizione, fu fermata
da Antonio Fazio.
Risultati apprezzabili la gestione di Bankitalia li ha ottenuti, evitando che
in una fase economica poco brillante si verificassero crisi drammatiche nel
settore nevralgico del credito.
Ma è proprio in relazione alla tenuta nei
confronti della concorrenza straniera che questa scelta centralistica rischia
di dimostrarsi controproducente. Un’economia meno forte della nostra, quella
spagnola, è in grado di tentare raid bancari perché lì è stato possibile
concentrare attorno alle banche Santander e Bilbao una formidabile rete di
istituti di credito assorbiti.
In Italia la “difesa a uomo”, in quanto si
oppone a concentrazioni dello stesso livello, è destinata a non durare. In un
mercato aperto, come quello europeo, inoltre, non ci si può solo difendere.
L’argomento secondo cui solo le banche italiane tutelano il risparmio
italiano sembra trascurare le iniziative di penetrazione delle nostre banche
in vari paesi dell’Europa centro-orientale.
Il punto non può essere solo la
difesa della libertà di mercato, ma l’attrezzarsi a competere nel mercato
definito dalla moneta unica. Naturalmente, una volta che si siano realizzate
le condizioni di reciprocità e superata l’attuale asimmetria di un’Europa
debole coi forti e prepotente coi deboli. A lungo andare, il centralismo è un
suicidio.
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