(WSI) – Al di là di come andranno i mercati finanziari e l’economia reale, una grossa grana sta emergendo qui in Italia, ma ragionevolmente accadrà lo stesso in quasi tutti gli altri paesi. E’ quella delle sofferenze bancarie. Per mesi ci si é domandati a quanto ammontasse l’importo dei titoli tossici – cosa di cui, stranamente, non si parla più – esistenti nei bilanci degli istituti di credito. Da almeno un anno non si capisce quali banche salteranno e quali no. Inoltre, non si discute del fatto che la crisi sta rendendo difficile, se non impossibile, il rimborso dei prestiti.
Giorni fa, parlando con un operatore attento a questi aspetti, é emerso che le prime cinque banche italiane potrebbero, alla fine del 2009, dover svalutare crediti per 15-20 miliardi di euro. Una cifra impressionante. Una cifra in grado di uccidere qualsiasi redditività di tipo ordinario. E’ pur vero che con i tassi ufficiali (l’euribor a un mese é sotto l’uno per cento) a livelli cosi bassi molte banche continuano ad addebitare ad imprese e privati tassi effettivi altissimi, applicando cosi spread – cioè margini per loro – di cinque o sei punti, quando non di più, ma fino a quando i margini sugli interessi riusciranno a coprire il buco delle svalutazioni necessarie?
Il tema é molto grosso. Lo stesso governatore della Banca d’Italia continua ad invitare tutti alla prudenza, perché nessuno sa come uscire da quest’impasse. L’uscita vera, migliore, sarebbe quella di un’autentica ripresa economica che rimetta in sesto le imprese e che possa far presumere alle banche di rendere di nuovo rimborsabili i crediti in essere. Insomma, se le imprese tornano a guadagnare normalmente, anche quei soldi oggi “incastrati”, possono rientrare nelle banche. Ma con la ripresa che, se va bene, arriverà nel corso del 2010, che sarà molto lenta e graduale, come si potranno chiudere i bilanci di quest’anno delle banche?
Di tanto in tanto si legge che le maglie dei criteri contabili internazionali si stanno allargando per evitare appunto a banche e a grandi imprese di dover iscrivere nei bilanci svalutazioni che sono più che altro l’effetto della crisi contingente. Però c’è da chiedersi se ciò é giusto. Ci si chiede, insomma, se ha un senso che dopo anni di ricerca di una fedeltà dei conti sempre più precisa e chiara, trasparente, proprio ora si debba allentare il cordone, in sostanza per consentire a vari soggetti di presentare bilanci che si sanno già falsi.
Anche perché se la crisi fosse più lunga – come é anche possibile – i bilanci 2010 sarebbero ancor più problematici, difficili. In tutto questo sta emergendo la grana delle grane, e cioè la questione dell’imponente massa di crediti concessi per le operazioni con alta leva finanziaria, ormai quasi tutte in “default”, cioè virtualmente saltate. E con frotte di banchieri che giorno dopo giorno si mettono le mani tra i capelli solo a riguardare operazioni che oggi sembrano far parte di una realtà virtuale.
Tra queste c’é tutto il mondo del private equity più aggressivo, ma anche tutto il mondo immobiliare, abituato a fare mutui per il 90-95 per cento del valore (dell’epoca) degli immobili. Come iscriveranno a bilancio i crediti nei confronti di tali aziende le banche che li hanno concessi? E, a parte l’atteggiamento degli amministratori, i sindaci e i revisori di tali banche come si comporteranno, a partire dalle semestrali che dovranno verificare nei prossimi giorni?
Il tema, come si è detto, é molto serio, certamente meno grave di quello sulla liquidità (che tra novembre e febbraio sembrava poter affondare banche di ogni dimensione in tutto il mondo). Però per risolvere quest’ultimo sono intervenuti in modo massiccio, come mai era stato fatto nella storia del mondo moderno, governi e banche centrali. Ma per la questione dei crediti di fatto inesigibili (e dei relativi, impossibili, bilanci bancari), chi interverrà? Alla fine si sceglierà di lasciare le cose come stanno, consentendo agli istituti di fare bilanci “un po’” falsi in attesa di tempi migliori?
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