Banche italiane alle spalle delle europee, in un contesto economico più sfavorevole per la crescita dei ricavi, e più in generale una minor efficienza sia per i costi, sia per la capacità di limitare sofferenze e incagli.
E’ quanto emerge dall’indagine 2004 di R&S di Mediobanca sulle maggiori banche internazionali, giunta quest’anno alla terza edizione.
Alla fine del 2004 la crescita dei ricavi operativi delle sole tre grandi banche italiane incluse nell’indagine – Banca Intesa, Unicredito Italiano e SanPaolo Imi – è infatti del 34,4% rispetto al 1998. Nello stesso periodo le maggiori banche europee segnano una crescita del 46,8%.
L’incidenza degli utili netti rispetto ai ricavi è invece del 19,3% per le tre ‘big’ nostrane, a fronte del 22,4% delle europee. La media del sistema bancario italiano, con le prime 12 banche che coprono il 70% degli attivi, è ancora più distante dai livelli europei con gli utili netti al 14,7% dei ricavi.
I costi operativi si attestano al 59,1% dei ricavi in Europa, ma lievitano al 61,1% nel caso delle tre maggiori banche italiane e salgono al 62,8% nella media nazionale. Le perdite sui crediti sono infine pari al 6,7% dei ricavi nelle concorrenti del Vecchio COntinente, e salgono all’8,5% per i tre ‘campioni’ nazionali e addirittura all’11,1% nel sistema bancario italiano.
Più in generale, lo studio R&S, che per il secondo anno abbraccia tutto il mondo, considera i 71 maggiori gruppi nelle tre aree di Europa, Stati Uniti e Giappone (a partire da quelli con un totale attivo pari ad almeno l’1% del totale dell’area). Il trend che emerge a livello complessivo per il primo semestre del 2004 è di un recupero dei ricavi (+6,2%), dopo un 2003 in frenata (-4,8%).
Crescono poi gli utili correnti (del 31% nel primo semestre 2004 e del 21% nell’intero 2003), soprattutto grazie alle minori perdite sui crediti, e alla congiuntura economica più favorevole (-31% nel 2003, -37% nel primo semestre 2004). Stabile l’andamento dei mezzi propri, sia in valori assoluti, che in rapporto al totale dell’attivo.
Fanno però eccezione gli Usa, dove a fronte di una buona crescita dell’utile corrente, gli utili netti risentono degli ingenti oneri collegati ai diversi scandali finanziari (pesano a vario titolo WorldCom, Enron e Parmalat, che portano Citigroup e JpMorgan ad accantonamenti pari a 6 miliardi di euro al netto dell’effetto fiscale di 7,25 miliardi di dollari) Nel lungo periodo, poi, le dimensioni degli istituti tendono a crescere, soprattutto tramite acquisizioni.
Tra il 1998 e il 2003 la media del totale attivo di tutte le banche aumenta infatti dell’83%. Gli attivi delle banche europee crescono dell’86%, quelli delle banche Usa dell’84% (+98% in valuta locale) e quelli delle banche giapponesi del 60%. Le fusioni tra i maggiori istituti mondiali, quelle che R&S definisce “megamerger” sono 39 in cinque anni, venti tra banche europee. A
umenta anche la concentrazione in testa alla classifica, con il peso dei primi cinque gruppi giapponesi che sale dal 44 al 76%, mentre negli Usa passa dal 56% al 66%. In Europa l’incremento di peso per i primi cinque istituti è più modesto (dal 22% al 25%), in uno scenario ancora piuttosto segmentato. Il panorama risulta però ancora oligopolistico, dal momento che i sistemi nazionali risultano relativamente chiusi.
In Italia, come detto, le dodici maggiori banche si dividono il 70% del sistema. Non sempre la crescita delle dimensioni corrisponde comunque a una crescita della produttività. Non in Europa, dove l’incremento è di poco superiore a quello del costo del lavoro pro-capite. Le banche italiane, poi, riducono tra il 1998 e il 2003 il costo unitario del lavoro più della produttività.
I giganti nelle tre aree prese in considerazione sono Ubs per l’Europa (890 miliardi di euro il totale attivo nel 2003), Citigroup per gli Usa (1.001 miliardi) e Mizuho in Giappone (1993 miliardi il totale attivo nel 2003), scalzata però lo scorso anno dalla fusione tra Mitsubishi Tokyo Financial e Ufj Holding, con un gruppo dotato di un totale attivo per 1.351 miliardi di euro.
La redditività non sembra dipendere dalle dimensioni degli istituti soprattutto negli Stati Uniti (e al 22,3% per il colosso Citigroup, ma si attesta al 26,6 nel caso della più piccola Mbna, con un totale attivo di 47 miliardi), mentre in Giappone i maggiori istituti sono addirittura tra quelli redditizi, anche alla luce di una situazione storica più critica per il comparto (tra le più grandi banche del Paese emergono anche dei conti in rosso). Diverso il caso dell’Europa, dove ogni Paese sembra far scuola a sé.(ANSA).