Società

BANCHE:
LE OPA STRANIERE
E LA BOLLA

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(WSI) – Sta per cominciare un giro di risiko costoso sul mercato delle banche italiane. Tanto costoso che le fusioni prevarranno sulle acquisizioni. Mentre tra le prime a entrare in gioco e pagare il conto ci saranno le popolari.

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Così la pensano, tra Londra e Milano, gli analisti finanziari che da anni seguono la scacchiera del credito tricolore. Prezzo caro, ma giustificato? Più per gli istituti stranieri che per quelli italiani, sottolineano gli esperti. Il motivo è semplice: rispetto a un’operazione tra connazionali, un’acquisizione cross border garantisce un vantaggio in più, vale a dire la conquista della rete distributiva in un mercato prima inesplorato. Per Aldo Comi di Actinvest «sarà una partita costosa, ma dietro i premi sul prezzo ci sono i buoni margini del comparto, più alti in Italia rispetto ad altri Paesi». Saranno probabilmente tutti italiani, dice Comi, gli istituti protagonisti del prossimi merger & acquisition . Italiani, ma anche popolari: restringe ulteriormente il cerchio Daryn Fletcher di Société Générale, che vede proprio in queste banche le prime a tessere nuove intese di aggregazione. «E’ il campo dove è più facile che si arrivi a un accordo amichevole», dice Fletcher.

Gli italiani saranno i primi a consolidare, ma oggi a spingere su quotazioni e prezzi ci pensano anche le voci sull’interesse dei grandi nomi della finanza internazionale. Questi ultimi, tuttavia, dopo i casi di Abn Amro e Bnp, dovrebbero riaffacciarsi sul Bel Paese solo in un secondo tempo. Aspettando, come sostengono alcuni analisti, la scadenza di questo o quel patto di sindacato per convincere i singoli soci a vendere o a dare il via a fusioni senza il bisogno di offerte ostili.

Ma non rivedremo molte Opa plurimiliardarie e pagate in contanti come con Antonveneta e Bnl. Fletcher prevede che la capitalizzazione di Borsa delle banche italiane resterà intorno o sopra a due volte tanto il valore del rispettivo patrimonio netto: un importo «elevato» che convincerà molti a intraprendere la strada, finanziariamente meno impegnativa, della fusione. Soprattutto quando il valore di mercato della società target, continua Fletcher, supera gli otto miliardi di euro (come succede per le più grandi banche italiane).

Fusioni o acquisizioni, per carta o per contanti, sul piatto c’è il mercato del credito di un Paese ad alto stock di ricchezza finanziaria. E si ingrossano i ranghi di chi vuole mangiare una fetta della torta: porzioni sempre più care, dove, per Rahul Shah di S&P Equity Research, «anche il comportamento degli azionisti con cui stringere un’intesa gioca un ruolo chiave nella determinazione del prezzo». E molti di questi azionisti, dalle fondazioni ai soci industriali, sembrano pronti a dar battaglia prima di vender (cara) la pelle.

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