L’onda d’urto dei terremoti finanziari targati Parmalat e Cirio scuote inesorabilmente l’emotività e l’immaginazione dei risparmiatori che assieme alla decurtazione reale dei loro proventi materiali rischiano di veder drammaticamente sgretolarsi quel deposito di fiducia sui cui poggia ogni aspettativa, anche economica, sul futuro individuale e collettivo.
Ma se nella paura e nell’incertezza si cede alla tentazione della salvifica mannaia giudiziaria che dovrebbe abbattersi indiscriminatamente sul capo dei «banchieri» da sacrificare come nuovo capro espiatorio, allora il rimedio, oltre che foriero di inevitabili ingiustizie e di devastanti linciaggi di immagine, non può che rivelarsi peggiore del male da sradicare.
Ovviamente non è in discussione la legittimità delle indagini giudiziarie che accerteranno colpe e responsabilità specifiche, nel rispetto degli indagati. Ma il problema è il contorno venefico di allusioni, di risentimenti, di accondiscendenza nei confronti dei metodi spicci e brutali della condanna mediatica prima ancora che giudiziaria, che grava attorno alle inchieste che vedono coinvolti i vertici del mondo bancario italiano. Un’atmosfera intossicata da resa dei conti che prevede la condanna preventiva del reo prima ancora che le responsabilità siano acclarate, ma soprattutto il ripudio aprioristico di un «sistema» in cui le banche vengono pregiudizialmente erette a monumento di ogni nequizia in campo economico.
E se anche gli ultimi giorni sono stati oscurati dalle controverse esternazioni del presidente del Consiglio sui politici «ladri», l’attesa spasmodica di una nuova Tangentopoli da scoperchiare (peraltro immemore delle deviazioni che pure inquinarono la repressione di quella precedente) asseconda sì le pulsioni per una soluzione punitiva esemplare, ma allargano a dismisura quella diffidenza per le banche che già si esprime nell’angusto «6 e mezzo» con cui i risparmiatori italiani indicano il grado di sfiducia verso il sistema bancario.
La politica sta già rinfoderando la spada, approntando sacrosante misure di maggior tutela del risparmio senza la scia cruenta di defenestrazioni e rappresaglie punitive. Ma è chiaro che il clima di sospetto indiscriminato sulle banche non può che portare queste ultime ad un riflesso difensivo che d’ora in poi rischia di soffocare ogni apertura di credito nel timore di finire sotto accusa anche per operazioni di normale finanziamento del sistema delle imprese, piccole o grandi che siano. Niente di più deleterio di un sistema delle banche che si chiude a riccio, lesinando crediti per il terrore di «sbagliare». E il terrore, sia nella forma del giustizialismo giudiziario che in quella dell’autodifesa di chi si sente sotto tiro, è la peggiore delle terapie.
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