Domenica 15 luglio nel corso di un meeting alla Banca Popolare di Sondrio, al quale erano presenti il ministro dell’economia Tremonti e numerosi amministratori delegati di banche popolari, il Governatore della Banca d’Italia Fazio ha parlato a braccio senza attenersi al testo scritto (di solito lo prepara personalmente, come impone il rigido e paludato protocollo di Via Nazionale).
Senza la guida di un testo, la lingua può andare oltre le intenzioni ed ecco il rischio di possibili gaffes, anche se giornalisti, analisti, banchieri e polemisti non sempre sono pronti a coglierle, mentre si tratta di manifestazioni molto freudiane oppure semplicemente molto naive.
Senza il riscontro e il conforto di un testo scritto, chi intenda analizzare il pensiero del nostro illuminato Governatore si trova tuttavia in difficoltà. Ma noi ci proveremo comunque, soprattutto perché si tratta di questioni cruciali per la nostra economia e, in particolare, per il nostro sistema bancario.
Cosa dunque ha detto il Governatore di così importante per l’avvenire delle nostre banche?
Secondo il resoconto dei principali quotidiani che hano dedicato articoli all’evento, Fazio avrebbe affermato che le fondazioni bancarie dovrebbero fare un passo indietro nella governance degli istituti di credito per dedicarsi con maggiore profitto alla gestione del loro portafoglio titoli e alle attività istituzionali loro proprie, quali beneficienza, cultura, territorio, e altro.
A specifica richiesta il Governatore avrebbe chiarito che la ritirata delle fondazioni dalla governance delle banche deve essere totale e non camuffata. A questo proposito Fazio avrebbe esclamato: ”Le fondazioni, una volta uscite dalle banche, non devono rientrare né in altre banche né in assicurazioni che poi acquistano banche”.
Purtroppo la frase è stata pronunciata solo verbalmente e, almeno per il momento, non è possibile alcun riscontro oggettivo supportato da un testo scritto dell’esatto contenuto e soprattutto del senso generale di quella affermazione.
Dobbiamo dunque attenerci a quanto riportato dai giornali, scusandoci immediatamente col Governatore e con la Banca d’Italia – ai quali manifestiamo subito la nostra stima e la nostra fiducia – se per ipotesi il contenuto e la dichirazione in questione non fossero quelle effettivamente pronunciate a Sondrio.
Quasi tutti i presenti hanno immediatamente collegato l’affermazione di carattere generale e astratto e, si direbbe, di contenuto didascalico, a una vicenda concreta, e cioe’ quella riferita a Unicredito, Mediobanca e Generali (brutto vizio italico quello di non applicare mai la legge in modo astratto a tutti, ma di cercare di interpretarla riferita sempre a casi specifici e concreti di proprio interesse).
Nella sostanza, secondo la maggior parte dei presenti, il Governatore avrebbe indirettamente (o direttamente?) manifestato la propria opposizione a una operazione di complessa ingegneria finanziaria che vedrebbe le tre fondazioni azioniste di Unicredito cedere in tutto o in parte le proprie partecipazioni nell’istituto di credito ad Assicurazioni Generali, per divenire immediatamente dopo azioniste della stessa Generali.
L’idea in sé non è peregrina in quanto diversificherebbe comunque il portafoglio delle fondazioni (al rischio bancario puro, si affiancherebbe quello assicurativo) e rafforzerebbe la struttura di controllo del più importante gruppo assicurativo italiano e delle più grande banca ancora prevalentemente italiana, mettendo pure in situazione critica gli azionisti assicurativi stranieri (RAS e CGNU).
Perché, allora, è assolutamente criticabile l’affermazione del governatore riferita alla fattispecie concreta, mentre diviene senza dubbio accettabile laddove abbia un contenuto didascalico solo esemplificativo di una potenziale situazione elusiva di una norma avente natura e forza di legge?
Nel caso concreto la Banca d’Italia si troverebbe in una curiosa (e tipicamente italiana) situazione di gravissimo conflitto di interessi in quanto dichiara di detenere (fonte: sito Consob al 13/7/2001) il 4.73% del capitale votante di Generali.
Sarebbe veramente strano che Assicurazioni Generali chieda a un suo azionista di prestigio, ma non di maggioranza, l’autorizzazione ad acquisire una quota superiore al 5% del capitale dei Unicredito o di qualunque altra banca.
Come potrebbe Banca d’Italia negare il proprio assenso a una tale operazione? Dovrebbe sostenere che Assicurazioni Generali non dà garanzie di stabilità? (ridicolo) o di sana e prudente gestione? (ancora più ridicolo).
Come potrebbe Banca d’Italia smentire le proprie scelte di portafoglio in nome di non si capisce quale norma non scritta o di moral suasion verso addirittura sè stessa? (il conflitto d’interessi non riguarda solo il Cavaliere, ma riguarda la vita di tutti i giorni e tutti vi sono coinvolti).
In questo caso Banca d’Italia non potrebbe proprio contraddire una società nella quale ha investito così pesantemente, perché in questo modo ne diventerebbe di fatto l’azionista di riferimento con tutte le conseguenze del caso e con buona pace di tutte le prediche fatte dal signor Governatore a Sondrio (e in tutta Italia) sul ruolo delle fondazioni.
Ma gli aspetti critici dell’affermazione del Governatore non si limitano a questo macroscopico conflitto d’interessi (peraltro non rilevato da nessun commentatore).
A che titolo infatti, e in base a quale legge, il Governatore può opporsi a una operazione come quella sopra descritta?
Ai sensi del testo unico bancario, Banca d’Italia deve autorizzare gli acquisti di partecipazioni in aziende di credito per quote superiori al 5%, 10%, 20% (e cosi via) del capitale sociale delle stesse.
L’unica vera arma in possesso della Banca d’Italia, oltre alla solita, opaca, moral suasion, sarebbe quindi il diniego di acquistare la partecipazione in Unicredito da parte delle Assicurazioni Generali.
Abbiamo già visto come questa strada sia di fatto e giuridicamente impercorribile. Quindi, di diritto, sussistendone le condizioni, Assicurazioni Generali può acquistare tutte le azioni di Unicredito che ritiene di acquistare.
D’altro lato le fondazioni devono essere autorizzate dall’ISVAP quando decidono di acquisire pachetti azionari di compagnie assicurative per quote superiori al 5%, 10% (eccetera); la Banca d’Italia non ha potere di veto su queste operazioni, anche se, è inutile nasconderlo, una consultazione tra le due autorità di controllo è giusta e auspicabile; ma non si può certo pensare l’una autorità indipendente si faccia condizionare dall’altra.
Ma venendo al caso concreto, come potrebbe svolgersi l’operazione? Al riguardo possiamo solo formulare ipotesi, perché nessuno studio concreto è stato presentato al mercato e, se anche fosse stato preparato, sarebbe tutelato dal più rigido segreto da parte di coloro che l’hanno ideato.
La prima ipotesi è semplice e diretta: ipotizziamo, per semplicità, che Generali capitalizzi il doppio di Unicredito e che sia possibile “concambiare” l’1% di Generali col 2% di Unicredito; ipotizziamo ancora che tutte le partecipazioni delle fondazioni vengano cambiate in azioni Generali.
Sulla base di dati ufficiali disponibili pubblicamente, Generali si troverebbe a controllare una quota di Unicredito tra il 37 e 38%, mentre le fondazioni controllerebbero circa il 18% di Generali, così ripartito: Fondazione Cassa di Risparmio di Verona, Vicenza, Belluno e Ancona circa il 9,5%, Fondazione Cassa di Risparmio di Torino 7,2%, Fondazione Cassamarca 1,9%.
Non ci sarebbe nulla di scandaloso, addirittura le Generali dovrebbero ricorrere a una OPA avendo superato il 30% del capitale Unicredito. Banca d’Italia dovrebbe autorizzare l’acquisto di Unicredito da parte di Generali, mentre ISVAP autorizzerebbe due delle tre fondazioni ad acquisire il capitale delle Generali.
Questa è l’operazione completa, ma naturalmente, e con molta probabilità, altra è la strada per condurre a buon fine l’operazione.
La seconda ipotesi (ripetiamo siamo in un campo ipotetico) può essere più conservativa: Generali compra solo la metà delle partecipazioni in Unicredito delle fondazioni, e queste mantengono metà delle loro quote in Unicredito investendo il ricavato della vendita dell’altra metà in azioni Generali.
Al termine del complesso giro di quote Generali controllerà il 18-19% di Unicredito in quota paritetica alle fondazioni nel loro complesso, mentre le fondazioni controlleranno il 9% abbondante di Generali.
Banca d’Italia dovrà autorizzare l’acquisto di Unicredito da parte di Generali, mentre l’ISVAP non dovrà autorizzare nessuna delle fondazioni al proprio acquisto di azioni Generali, in quanto nessuna di esse ha superato la soglia di possesso del 5%.
L’operazione, che può avere diverse varianti, tutte però basate su questo filone principale, è in sé assolutamente lineare e perfetta in quanto soddisfa tutte le leggi e raggiunge tutti gli obiettivi che Banca d’Italia e ISVAP si sono prefissati: l’azionariato di Generali e Unicredito resta in prevalenza italiano; le fondazioni diversificano il loro rischio di portafoglio; tra Unicredito e Generali, eventualmente con l’inserimento di Mediobanca, esistono formidabili possibilità di sinergie.
Come si vede il Governatore, con quella frase, non voleva riferirsi al caso concreto, ma voleva solo citare un esempio di carattere didascalico (chissà quale realmente aveva in testa…).
* Cesare Ippaso e’ uno pseudonimo dietro al quale si cela un alto funzionario dell’amministrazione statale che per motivi legati al suo incarico non puo’ comparire ufficialmente. Ippaso da oggi comincia la sua collabozione con WallStreetItalia.