Società

BANCA CONDANNATA

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(WSI) – A distanza di quasi sette anni il primo nodo è giunto al pettine: il tribunale civile di Venezia ha emesso una sentenza in cui si dispone che la Cassa di Risparmio della stessa città risarcisca un imprenditore locale per un milione di euro. Motivo? La Cassa nel 2002 aveva venduto a un cliente una certa quantità di bond argentini rivelatisi poi un gigantesco bidone, come tutti ben sanno.

In casi come questo – numerosi in Italia – gli istituti di credito venditori del prodotto finanziario non erano mai stati considerati dalla giustizia responsabili di alcunché, in quanto semplici intermediari incolpevoli della natura truffaldina dei titoli sudamericani. E non erano stati condannati a rimborsare di un soldo chi, dopo averli acquistati, si era ritrovato in mano un pacco di carta straccia. Dunque, obbligato a mettere le mani al portafogli per rifondere il debito non onorato era solo lo Stato argentino. Il quale però, non essendo in condizioni di pagare per via di una situazione finanziaria catastrofica, aveva sempre fatte e farà ancora spallucce: “Non abbiamo soldi, siamo falliti”.

Sicché i risparmiatori in causa si erano rassegnati alla fregatura ricevuta. Questo fino a ieri. Ma dopo la sentenza in questione, le cose potrebbero cambiare. Si è stabilito un precedente che, come noto, talvolta diventa giurisprudenza e può incidere nei prossimi processi.

Oddio, occorre tener presente che stiamo parlando di un giudizio di primo grado, quindi ne mancano due a quello definitivo: Appello e Cassazione. Se però il verdetto oggi valido fosse confermato al termine dell’iter, non solo la Cassa di Risparmio di Venezia sarebbe tenuta a versare un milione di euro all’imprenditore buggerato; ma altre banche che compirono analoghe operazioni sarebbero chiamate allo stesso impegno. Prospettiva, questa, poco allegra per vari istituti di credito inclini al commercio di bond sulla cui affidabilità non era opportuno fornire neppure la minima garanzia.

I clienti, si sa, erano molto attratti da interessi fuori mercato e non esitavano a sottoscrivere i bond maledetti: argentini, Parmalat, Cirio, Lehman e similari. Non immaginavano fossero patacche perché le banche (in cui essi avevano la massima fiducia) anziché informarli sui rischi connessi all’acquisto di tali prodotti, li invogliavano – rassicurandoli – a portarseli a casa. Il risultato si è visto.

Adesso si tratta di accertare quali banche fossero in buona fede e quali no; quali fossero i funzionari che lucravano sui bidoni e quali invece non fossero incentivati a spacciarne. Tutto ciò non sarà facile stabilire e non è escluso che i tentativi per arrivare alla verità si concludano all’italiana: con un nulla di fatto. Però la sentenza di Venezia segna un punto importante: per la prima volta dall’inizio della tormentata vicenda dei bond, si gettano ombre sul comportamento delle banche.

Si è infranto un tabù. Fino a ieri il ruolo dei minchioni avidi di denaro, e disposti a giocarsi la camicia pur di farne in fretta, era stato assegnato esclusivamente ai risparmiatori. I quali oltre al danno, si prendevano la beffa. Forse qualcosa è cambiato. Speriamo.

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