AZIONARIO:
MA IL PEGGIO E’ DAVVERO PASSATO?

di Redazione Wall Street Italia
14 Giugno 2006 09:58

*Alfonso Tuor e’ il direttore del Corriere del Ticino, il piu’ importante quotidiano svizzero in lingua italiana. Il contenuto di questo articolo esprime esclusivamente il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – Anche ieri è continuata la discesa delle borse. Il movimento ribassista dei mercati azionari sta cominciando ad incrinare le certezze di coloro che lo ritengono una semplice correzione, inevitabile dopo la lunga fase di rialzo delle borse iniziata nel marzo del 2003. Gli argomenti addotti a sostegno di queste tesi appaiono «forti»: i mercati non sono sopravvalutati, i bilanci delle società sono sani e gli utili continuano a crescere.

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In base a queste premesse, si conclude, che le borse sono in grado di assorbire un ulteriore aumento dei tassi e anche il previsto rallentamento del ritmo di crescita dell’economia statunitense. I sostenitori di queste tesi rischiano però di guardare dati indiscutibili, ma non rilevanti sia per pronosticare l’andamento dei mercati sia quello delle economie. Infatti l’attuale situazione può essere letta in modo completamente diverso.

L’accelerazione della crescita dell’economia internazionale è il frutto di politiche economiche eccezionali adottate per ridurre le conseguenze del crollo delle borse di inizio decennio e per prevenire il pericolo della deflazione. La corsa al rialzo dei mercati degli ultimi tre anni è stato il riflesso di un periodo «felice» di tassi di interesse a livello minimo e di liquidità abbondante. Questa fase è finita e le banche centrali di tutti i paesi industrializzati, seppur con tempi e modalità diversi, stanno passando da politiche monetarie fortemente espansive a neutrali.

Questa transizione, resa più insidiosa dalle tensioni sui prezzi dovute all’aumento del costo delle materie prime, deve fare i conti con i fenomeni che si sono sviluppati durante l’era del denaro facile e che hano reso possibile la ripresa economica. Inanzitutto, il forte aumento dell’indebitamento delle famiglie, che non riguarda solo gli Stati Uniti, ma che registra forti incrementi anche in molti paesi europei.

In secondo luogo, l’impennata dei prezzi dell’immobiliare, che di nuovo è un fenomeno generale, con l’unica eccezione rappresentata dalla Germania. Ed infine, a livello macroeconomico, il crescente disavanzo estero degli Stati Uniti. Con una battuta ad effetto, si potrebbe dire che in questi anni sono aumentati gli utili delle imprese, ma sono stagnati i redditi delle famiglie e in termini reali sono addirittura diminuiti. E dato che è il consumatore finale a determinare il livello di attività delle società che producono beni e servizi, non appare sorprendente che i mercati finanziari si interroghino sulle conseguenze del rialzo dei tassi sui consumi e quindi sulla crescita economica e dunque sulla sostenibilità nel tempo degli utili societari.

A sostegno di questa tesi si può osservare l’andamento dei mercati dei capitali che non sembrano condividere le paure inflazionistiche delle banche centrali e di molti analisti. Infatti i rendimenti dei buoni decennali del Tesoro statunitensi sono inferiori al 5%, ossia al livello dei tassi a breve. Ora, dato che i mercati dei capitali sono i più sensibili alle aspettative inflazionistiche e dato che alla fine del mese è dato per scontato che la Federal Reserve porterà i tassi a breve al 5,25%, non si può leggere questo appiattimento della curva dei tassi che come una previsione di un forte rallentamento dell’economia statunitense.

Anche in Europa i tassi a lunga non si stano muovendo al rialzo. In Svizzera, ad esempio, malgrado sia scontato l’annuncio domani del rialzo del costo del denaro da parte della Banca Nazionale, il rendimento delle obbligazioni della Confederazione a 10 anni è sceso dal 3% a poco più del 2,6%. Anche il calo dei prezzi delle materie prime e dei metalli preziosi sembra confermare questa tesi.

Tutto ciò non vuol dire che vi saranno sfracelli, ma che l’ondata ribassista potrebbe continuare fino a quando sarà più chiara la reazione dell’economia (soprattutto di quella americana) all’aumento del costo del denaro. Affermare oggi che la borsa e l’economia americana saranno sicuramente in grado di assorbire l’ulteriore aumento del costo del denaro appare perlomeno azzardato.

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