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AVETE MAI SENTITO PARLARE DI EQUITY PROTECTION? ALERT, AGUZZATE LA VISTA!

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*Pierpaolo Scandurra è Managing Director di www.certificatiederivati.it. I suoi commenti non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.

(WSI) – Se si chiede ad un investitore se ha mai sentito parlare di Equity Protection si ottiene nella maggior parte dei casi una risposta affermativa. Il segmento dei certificati a capitale protetto, nel momento di maggior calo del mercato, ha goduto di molte attenzioni da parte degli investitori così come della stampa specializzata o più generalista. Il successo di questa tipologia di prodotto è cresciuto tanto quanto più accentuato è stato il ribasso del mercato azionario e quindi oggi in molti sanno come funziona un Equity Protection. Se ne conoscono i vantaggi, come ad esempio la possibilità di godere di una protezione del capitale anche in caso di tracollo del sottostante, come è peraltro avvenuto nell’ultimo anno, o di sfruttare una quotazione sotto 100 per garantirsi una plusvalenza netta grazie alla natura di reddito diverso generato dal certificato. Ma se ne conoscono ormai anche i rischi, legati alla solvibilità dell’emittente così come alla bassa partecipazione all’eventuale ripresa del mercato per via degli strike ormai distanti più del 50% dagli attuali valori di mercato. Proprio perché è sempre maggiore l’interesse suscitato da questa tipologia di prodotto che dovrebbe essere fatta un po’ più di chiarezza sui concetti di strike e livello protetto descritti sulle schede sintetiche dei prodotti ricavabili dal sito web del più autorevole ed importante organo di regolamentazione dei prodotti derivati quotati sul mercato italiano, ossia di Borsa Italiana.


Si prenda ad esempio la scheda prodotto pubblicata sul sito web di Borsa Italiana di un Equity Protection di Banca Imi sul titolo Telecom Italia. Leggendo la scheda l’investitore ottiene le seguenti informazioni: il certificato ha un prezzo di riferimento pari a 88,44 euro , ha come sottostante Telecom Italia ed è inserito nella categoria dei certificati a capitale protetto. Il multiplo di questo certificato è pari a 48,192771 e lo strike è di 1,8675 euro. Non è presente alcuna barriera, trattandosi di un certificato con protezione del capitale non condizionata, e la scadenza è il 16 luglio 2009. Dopo le indicazioni relative ai codici ISIN ( IT0004239791) e alfanumerico ( I23979), indispensabili per la corretta identificazione del prodotto, si legge che la facoltà del certificato è Inv , ossia investment e che la modalità di esercizio è europea, ovvero che il rimborso sarà automatico alla scadenza. Infine la partecipazione al rialzo è +100,00, ovvero del 100%. Sul lato destro della pagina viene poi messo a disposizione un documento in formato pdf, riguardante l’avviso di quotazione del certificato: anche in questo caso si può leggere che il certificato in oggetto ha strike pari a 1,8675 euro e una parità ( o multiplo) di 48,192771.

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Arrivato a questo punto l’investitore penserà di aver individuato un certificato che alla scadenza del 16 luglio 2009 rimborserà il 100% del capitale iniziale, pari a 100 euro, se Telecom Italia si troverà al di sotto dello strike di 1,8675 euro o in alternativa il 100% del nominale maggiorato del 100% della performance positiva se Telecom Italia finirà al di sopra dell’unico valore reso disponibile sulla scheda prodotto e sul documento pdf, ossia 1,8675 euro. Vista la breve durata residua del prodotto e la quotazione corrente del titolo, scambiato nelle ultime sedute a circa 1,10 euro, viene quindi da sé che il rimborso a scadenza sarà quasi certamente del solo capitale nominale, ossia di 100 euro. Poco male si dirà: dal momento che è possibile acquistare il certificato a circa 88,50 euro, si potrebbe incassare una plusvalenza di 11,50 euro per certificato, ovvero del 13%, in soli sei mesi!


Ma è qui che come si suol dire, casca l’asino. L’investitore più accorto e più meticoloso infatti dopo aver appreso dalla scheda prodotto e dalle prime pagine dell’avviso di quotazione che lo strike è 1,8675 euro e che, data la mancata indicazione di percentuali differenti, la protezione è totale, , scorrendo il documento in pdf si accorgerebbe che nella tabella B fornita dall’emittente il certificato ha un livello di riferimento iniziale di 2,075 euro e che quegli 1,8675 euro sono il livello di protezione corrispondente al 90% del livello iniziale. La conferma di questa asimmetria di informazione si sarebbe potuta ottenere anche prima, facendo riferimento alla parità o multiplo: moltiplicando infatti il livello strike di 1,8675 euro per i 48,192771 si sarebbe ottenuto l’importo di rimborso del certificato, ossia 90 euro. Ma quanti leggendo quella scheda prodotto si sono preoccupati di effettuare questo calcolo prima di pensare di aver individuato un certificato a capitale interamente protetto? Ma soprattutto quanti di coloro che si avvicinano per le prime volte a questi strumenti fanno riferimento a quella cifra con sei numeri dopo la virgola per capire cosa ci si potrebbe attendere alla scadenza?


C’è peraltro da osservare che la differenza in termini economici tra le due interpretazioni è sostanziale. Tecnicamente la lettura dello strike di Borsa Italiana non è errata, dato che la protezione del capitale si ottiene inserendo nella struttura in opzioni una put con strike pari al livello di protezione, e quindi pari a 1,8675 euro. L’altra opzione , la call che garantisce la partecipazione ai rialzi, è invece senza strike. Pertanto l’interpretazione in questo senso sarebbe ineccepibile. Tuttavia nel linguaggio comune degli investitori, degli addetti ai lavori e degli emittenti stessi , allo strike del certificato si fa corrispondere il livello di riferimento iniziale del sottostante e quindi il prezzo di emissione del prodotto. In buona sostanza allo strike corrisponde quasi sempre un valore di 100 euro. Viene quindi da sé che se si legge che lo strike è 1,8675 euro e che il livello protetto è 1,8675 euro si deduce che questo livello corrisponde ai 100 euro nominali. Il problema di incorretta interpretazione da parte dell’investitore più comune, ovvero quello che non legge volentieri le 70 pagine di un prospetto di quotazione, si potrebbe risolvere mettendo a disposizione sia il livello protetto ( o strike) che il livello di riferimento iniziale. Anche perché come si diceva, le differenze sono sostanziali.


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