General Motors, attraverso il presidente e ceo Rick Wagoner ha chiesto al Congresso degli Stati Uniti un secondo prestito d’emergenza da 4 miliardi di dollari per gennaio che si aggiunge a quello da 4 miliardi chiesto subito.
Wagoner ha detto alla Commissione bancaria del Senato che il tempo a disposizione per salvare il gigante di Detroit è ormai agli sgoccioli, l’ossigeno finanziario può durare solo fino alla fine dell’anno. Poi il manager ha anche fatto una mezza ammissione di colpa. «Siamo qui perché abbiamo commesso degli errori – ha scritto in una testimonianza scritta – ma anche perché forze al di fuori del nostro controllo ci hanno spinto sull’orlo del precipizio» .
Wagoner, con il ceo di Chrysler Bob Nardelli e l’amministratore delegato di Ford, Alan Mullally, hanno avanzato al Congresso questa settimana una richiesta di 34 miliardi di dollari in aiuti federali. Intanto divampa la polemica tra i big della politica. Il senatore repubblicano Richard Shelby è fortemente contrario a un salvataggio dell’Auto a carico dei contribuenti anche perché, ha sostenuto, «basano i loro piani su previsioni francamente ottimistiche delle future vendite».
Il senatore democratico Carl Levin, invece, preme per una maggiore azione di moral suasion da parte del presidente uscente Bush e del presidente eletto Obama a favore del salvataggio dei costruttori automobilistici di Detroit. E dalla Casa Bianca la portavoce Diana Perino ha precisato che è compito dei top manager dimostrare che i piani di rilancio abbiano concrete possibilità di riuscita. «Non concederemo un sostegno finanziario con i soldi dei cittadini se non avremo rassicurazioni sulla validità dei piani», ha dichiarato Perino.
Ma la situazione, a sentire anche Nardelli e Mullally, è davvero drammatica. Al punto che la prima tranche di aiuti, affermano, dovrebbe arrivare entro dicembre, pena l’esaurimento della liquidità in cassa. «Capiamo che le nostre richieste di denaro siano elevate – ha scritto Nardelli nella sua testimonianza scritta alla Commissione del Senato – ma sono convinto che questa sia l’alternativa meno onerosa a fronte della profondità della crisi dell’economia e degli scenari che ci attenderebbero in caso contrario».
Il crollo dell’industria automobilistica americana porterebbe alla pardita del lavoro per milioni di americani. Anche se non mancano gli osservatori secondo i quali la strada migliore da seguire sarebbe quella della bancarotta, che consentirebbe di ripartire con basi contrattuali nuove dopo anni di ingessature imposte dal potente sindacato United Auto Workers. Accordi che oggi costano caro in termini di costi e competitività.