Fino all’inizio degli anni Ottanta l’Australia esporta i suoi vini, considerati in genere di bassa qualità e prezzo, verso l’Inghilterra. Tuttavia, la produzione vinicola aumenta vertiginosamente durante gli ultimi vent’anni e con essa la qualità e la reputazione dei vini australiani, tradizionalmente considerati troppo fruttati, dolci e con un eccessivo tasso di alcol. Aumenta il numero dei viticoltori, circa duemila, a cui se ne aggiungono circa un centinaio ogni anno. L’export di vini australiani passa da circa 90mila ettolitri, per un valore di appena 11 milioni di euro, a oltre 6 milioni di ettolitri per un valore di oltre 2 miliardi di euro. Lo sviluppo dell’industria vinicola appare legato a una maggiore presenza di produttori stranieri sul territorio australiano, ad esempio la francese Pernod Ricard e all’immigrazione dei viticoltori sudafricani fuggiti in massa verso l’Australia alla fine dell’Apartheid, ma anche a una crescente sofisticazione dei produttori tradizionali. Benché la produzione sia ancora in gran parte costituita da vini di basso costo e qualità, aumentano quelli pregiati: un Cabernet Coonawara, invecchiato tre anni, ad esempio, vale oltre 28 euro la bottiglia. L’Inghilterra non è più il principale mercato per l’export dei vini australiani; importano gli europei e gli americani e, in misura crescente, giapponesi e cinesi. Attualmente l’Australia è il sesto produttore mondiale di vino, ma punta a divenire il quarto entro i prossimi anni. Sarà comunque difficile, secondo gli operatori, superare gli attuali livelli e i produttori australiani stanno già cercando di organizzarsi per conquistare il mercato cinese, considerato di gran lunga il più interessante. L’export di vini sia di basso costo sia di qualità potrebbe raggiungere, secondo Sidney, i 4 milioni di ettolitri entro il 2015 per un totale di circa 2,5 miliardi di euro.