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(WSI) –
Un giorno «la crisi dei mutui è alle spalle». Poi, «è di nuovo allarme subprime con rischio recessione». Poi ancora: «no, ormai il peggio è passato». Se non fosse che si parla di economia reale, in definitiva delle prospettive di molte famiglie, lo stillicidio di pareri profusi da economisti o esperti del caso, dovrebbe scomparire sepolto nell’indifferenza. Il problema è che, a fronte delle migliaia di dati su inflazione, pil, disoccupazione, mercato della casa (e chi più ne ha più ne metta) ci si perde nel particolare. Nelle pieghe delle eccezioni che saltano fuori giorno dopo giorno.
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Ben venga, allora, un’analisi come quella di Stephen King, capo economista di Hsbc, che potrebbe sembrare espressione di semplice «buon senso» e, in realtà, è un’approfondita sintesi di una mole di dati raccolti nel medio periodo. «L’economia americana già in recessione? I classici indicatori, per ora, dicono di no», spiega King. Che aggiunge: «Il rischio di una crisi congiunturale però c’è, esiste. Potremmo pensare di fronteggiare una situazione come il crac dell’Ltcm. Superata la trappola, tornerà il sereno». E non è così, vero? «Sì, il problema è più strutturale. Il boom del mercato immobiliare, nei primi anni del millennio, si basa su un “peccato originale”: un livello troppo basso della qualità dei prestiti». E questo, oltre a prosciugare le risorse del consumatore che va a debito, «ha creato danni a chi prestava denaro.
Un corto circuito, amplificato all’ennesima potenza dalle cartolarizzazioni, che ha portato ad un crollo della fiducia nel mercato monetario». Che, però, anche grazie all’intervento delle Banche centrali sembra essere tornata. «Quello che si è verificato è che gli spread si sono ridotti. Cioè, è di nuovo più facile prestare denaro nel mercato interbancario. Io, però, dubito che i proprietari di case riusciranno così facilmente, come accadeva prima, ad ottenere prestiti fino al 120% del valore della casa. Oppure, ad accendere un’ipoteca che superi di 8 volte il salario annuale o, addirittura, auto-certificata». La conseguenza di tutto ciò? «Ci sarà un calo dei prezzi delle abitazioni e questo, giocoforza, avrà i suoi riflessi negativi sul lato della domanda aggregata».
Insomma, i rischi di entrare in recessione ci sono. Ben Bernanke, non si è fatto pregare, è ha subito adottato una politica monetaria meno restrittiva. Al contrario la Bce, sembra non volere mollare la presa anche per paura dell’inflazione. «Rispetto al tema dell’euro forte non vedo così grandi problemi per le imprese europee: sono state capaci di diversificare i loro mercati di sbocco». E riguardo al surriscaldamento dell’economia? «In questo caso bisogna fare un discorso articolato: fino a poco tempo fa, i mercati emergenti come la Cina avevano un effetto calmierante sui prezzi. Ora, però, esportano inflazione. Basta pensare alle materie prime». E allora? «Dovrebbero adottare un politica monetaria restrittiva, ma è difficile perché le loro monete sono legate al dollaro. Quindi, il tema dell’inflazione non è assolutamente secondario».
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