Di almeno un terzo. Tanto e’ l’incremento atteso per i prezzi dell’acciaio con conseguenti ritocchi all’insu’ di tutti i beni fatti da questa matieria prima, dalle auto agli elettodomestici. Il tutto dopo la messa a punto di un nuovo tariffario dei minerali ferrosi.
L’accordo, siglato tra la brasiliana VAle, l’anglo-australiana BHP Billinton e le fabbriche di Cina e Giappone, mette fine a un sistema che andava avanti da 40 anni basato su contratti annuali e lente contrattazioni sui prezzi. Ora si firmeranno commesse trimestrali basate sul nascente mercato dei minerali ferrosi. “Il vecchio sistema di benchmark e’ finito. NOn si torna piu’ indietro”, ha riferito un manager vicino alla trattativa.
A cavalcare questo cambiamento i piu’ grandi operatori del comparto a livello globale, con profitti che metteranno il turbo nel breve termine proprio grazie al nuovo sistema di prezzi. Qualche stima: per Vale, Rio Tinto e BHP Billinton i profitti potrebbero crescere di almeno $5 miliardi all’anno.
I nuovi criteri rappresentano la risposta alla situazione di stallo osservata l’anno scorso nelle negoziazioni tra gruppi minerari e i produttori cinesi di acciaio, incapaci di trovare il prezzo giusto che andasse bene ad entrambe. Ad avere la meglio sono stati i primi grazie a un mercato, quello del Celeste Impero, che da oltre un decennio si e’ dimostrato un vorace consumatore.
Brendan Harris, analista del comparto in Macquarie, ha definito il cambiamento in atto come un passaggio degno di nota. “Non accade tutti i giorni che i termini di commercializzazione di una delle principali materie prime cambi”, ha detto. L’acciaio, d’altra parte, rappresenta il 95% del consumo mondiale di metalli e i minerali di ferro rappresentano il principale ingrediente per la produzione di acciaio.
Il nuovo sistema di prezzi prevede un ritocco dei costi a carico dei produttori di acciaio asiatici di circa $100-120 per tonnellata tra aprile e giugno, un rialzo dell’80-100% rispetto ai $60 a cui sono stati siglati i contratti per gli anni 2009-2010.
Come verra’ compensato un simile incremento della materia prima? Semplice. Alzando i prezzi dell’acciao di circa un terzo. Alcune societa’ hanno gia’ rivisto all’insu’ i prezzi. Entro la fine del trimestre prossimo, l’acciao in bobina (hot rolled coil steel) potrebbe toccare quota $725-750/tonnellata, su rispetto a $550 di gennaio e del livello a $380 cui veniva scambiato l’anno scorso.
A farne le spese? I consumatori, ha fatto notare Thorsten Zimmermann, analista di HSBC a Londra.
Ad aver gia’ messo la firma sui nuovi contratti con base trimestrale, tra le altre societa’ asiatiche, figurano la giapponese Nippon Steel e la cinese Baosteel. In Europa gli operatori devono ancora farlo. Rio Tinto potrebbe presto farlo. L’associazione europea dell’industria dell’acciaio (che include colossi come ArcelorMittal e ThyssenKrupp, ha ammonito: un incremento della materia prima comportera’ “inevitabilmente un impatto significativo su tutta la catena fino ad arrivare ai consumatori”.
In Australia i minerali ferrosi ieri hanno toccato i massimi di 18 mesi a $153.6/tonnellata. Chris Williamson, capo economista di Markit, ha concluso dicendo che la domanda di acciaio trainera’ i prezzi nei prossimi mesi. “Pressioni inflazionistiche si stanno creando nei mercati emergenti”, ha commentato l’esperto da Londra.